Nel dibattito sulle foibe e sulla Giornata del Ricordo è stata sollevata la necessità, sottolineata anche dal presidente Sergio Mattarella, di divulgare e sensibilizzare i giovani. Esigenza necessaria per evitare che certi orrori possano ripetersi. Carla Isabella Elena Cace, presidente dell’Associazione nazionale dalmata, è esule dalmata di terza generazione. Giornalista e storica dell’arte, proviene da una famiglia di medici originaria di Sebenico. Ha pubblicato vari libri sulla questione del confine orientale italiano, sulle foibe e sull’esodo. Fa parte dell’esecutivo nazionale del Comitato 10 Febbraio.
Presidente Cace, da qualche anno il silenzio sulla pulizia etnica contro gli istriani, i dalmati e i giuliani da parte dei partigiani titini sembra caduto. Si comincia a parlarne. C’è una nuova coscienza storica?
«Dall’istituzione della Giornata del Ricordo, nel 2004, è cambiato molto nella consapevolezza su questo capitolo di storia per tanto tempo cancellato. Ora c’è maggiore attenzione da parte dei media. La stessa Raitre per il 10 febbraio ha programmato in prima serata un docufilm di Michelangelo Gratton dove esuli ed esponenti di associazioni faranno conoscere le proprie testimonianze sulla vicenda. In passato ci sono stati momenti in cui è stato dato spazio al negazionismo sui fatti del confine orientale italiano. Ma ci sono state anche testimonianze, opere d’arte come Magazzino 18, libri, film e docufilm, incontri nelle scuole e con i presidenti della Repubblica i quali hanno parlato chiaramente sulla tragedia delle foibe e dell’esodo sottolineando le responsabilità dei partigiani titini. A livello storiografico sarà un lavoro ancora lungo, visto che ci sono 60 anni di silenzio da recuperare. Detto questo, possiamo guardare con ottimismo al futuro. L’anno scorso, ad esempio, io, in qualità di presidente dell’Associazione nazionale dalmata, sono stata invitata al Parlamento europeo dove, in occasione del 10 febbraio, ci fu un evento con tutti i parlamentari europei dedicato al Ricordo. Finalmente si è parlato nell’ambito dei genocidi del ‘900 di quello dei giuliano-dalmati, insieme con quello degli armeni e di altre minoranze da parte dei totalitarismi europei».
La pulizia etnica non fu solo l’eccidio di 30mila italiani gettati nelle foibe o in mare con una pietra al collo, ma anche il forzato esodo sequestrando tutti i beni agli italiani. Come fu vissuta questa realtà da oltre 300mila italiani costretti alla fuga?
«L’esodo è stato una tragedia nella tragedia. È stato lo sradicamento dalla propria vita, dalla propria identità. Ha significato perdere se stessi per non ritrovarsi mai più. Per tanti è stato peggio che morire perché non solo si è lasciata la propria terra, dove si parlava italiano da molti secoli, la propria casa con tutto quello che c’era dentro, ma soprattutto si è persa l’identità. Centinaia di migliaia di persone hanno vissuto un trauma e una violenza psicologica incancellabile. Un dolore durato una vita. Tuttavia ho conosciuto tantissimi profughi di quelle terre che hanno continuato la propria esistenza con dignità. La gente giuliano-dalmata si è sempre distinta nei secoli per la fierezza.
Ricordare queste vicende è doveroso. Come intende sensibilizzare i giovani l’Associazione nazionale dalmata?
«Mi sono posta un obiettivo: parlare ai giovani aprendo ai canali social, non solo Facebook, ma anche Instagram, Youtube. Abbiamo realizzato mostre, come Il mio esodo, un contest fotografico al quale hanno partecipato gli esuli con le loro foto ma anche studenti di Accademie di Belle Arti con i propri lavori. Abbiamo realizzato un cortometraggio che lanceremo su Youtube, una sintesi della vicenda delle foibe che distribuiremo alle associazioni, agli istituti di cultura, alle scuole, a chiunque voglia approfondire. Parliamo con linguaggi moderni rivolgendoci alle nuove generazioni per diffondere una giusta consapevolezza, per evitare che ciò che non si conosce possa ripetersi».