Odio. E amore, infinito. La voglia insopprimibile di scappare da una terra che lo aveva deluso, profondamente, e la felicità di tornare quando quella stessa terra è stata pronta per costruire insieme il presente e soprattutto il futuro. È un nostòs, un ritorno, non alla petrosa Itaca, ma alla altrettanto petrosa Murgia, quello di Gianni Forte, autore e regista tra i più apprezzati nel panorama teatrale nazionale e internazionale insieme al collega Stefano Ricci. Originario di Andria, dove è cresciuto fino all’età di diciannove anni, Forte con Ricci negli anni Duemila ha dato vita alla compagnia Ricci/Forte definita sin da subito «dissacrante», «stravagante», e segnando la nuova strada dell’arte teatrale in Italia. Nel 2021 Forte e Ricci sono stati nominati direttori della Biennale Teatro di Venezia per il triennio fino al 2024.
Abbiamo incontrato Gianni Forte che in questi giorni è ad Andria per la XXVI edizione del festival Castel dei Mondi, e il 2 settembre inaugurerà una collaborazione triennale con il festival, con «Sulle spalle dei Maestri del Teatro Europeo» conversando con Arthur Nauzyciel (Castel del Monte, ore 19).
Forte, che rapporto ha con la sua terra?
«Il rapporto con la mia terra all’inizio è stato di grande conflittualità. L’ho detestata perché mi sentivo ingabbiato, volevo realizzare delle cose ma qui non riuscivo. Quindi c’è stato un allontanamento drastico. Sono arrivato a odiare la mia terra, ne ero prigioniero. Il destino però mi ha riportato ad Andria, e le cose più importanti che volevo realizzare sono arrivate proprio nel mio paese d’origine. L’odio si è trasformato in un amore che è andato avanti per anni. Poi mi sono di nuovo allontanato e da quest’anno è riesplosa la passione. Non è un ritorno da figliol prodigo ma è un ritorno condiviso e desiderato da entrambe le parti».
Quando è andato via dalla sua città?
«Mi sono traferito a Roma a diciannove anni. A quel tempo c’erano poche possibilità. Comincio a frequentare le compagnie teatrali pugliesi e a Barletta incontro il regista Giancarlo Nanni – all’epoca ero molto più sfacciato – e gli dico “io vorrei lavorare per lei”- Lui ha visto questo ragazzo ambizioso e mi ha dato il suo indirizzo dicendo “se dovessi capitare a Roma vediamo cosa succede”. Io non me lo sono fatto ripetere due volte, ma non avevo i soldi per andare a Roma perché i miei erano contrari. Così ho partecipato a un quiz importante della tv, ho fatto le selezioni a Bari, sono stato scelto unico della Puglia, quindi sono andato a Milano e ho partecipato alla trasmissione Loretta Goggi in quiz. Non sono diventato campione per una frazione di secondo, ma ho vinto una somma ingente di denaro e così ho fatto la valigia e sono andato a Roma».
Ed è andato a bussare alla porta di Nanni come promesso?
«Sì, e il destino ha voluto che uno degli attori giovani con cui doveva lavorare era ammalato quindi ho esordito come attore nel Ciclope di Euripide, in un posto magnifica che era l’Uccelliera di Villa Borghese. Grazie a questa occasione sono stato visto da Luigi Squarzina che stava cercando un giovane attore per fare L’uomo, la bestia, la virtù con Ugo Pagliai e Paola Gassman, poi sono diventato il giovane attore musa di Mario Missiroli che è stato il mio maestro e con lui ho fatto le cose più belle degli inizi della mia carriera. Poi il cinema con la Cavani, Castellani, la pubblicità, ma sentivo che non ero felice. La mia carriera era in ascesa ma non riuscivo a controllarla, scrivevo, ma mi mancava qualcosa. Per caso in Sicilia ho incontrato il mio collega Stefano Ricci, abbiamo smesso entrambi di fare gli attori e agli inizi del 2000 abbiamo fondato la compagnia. Sono tornato ad Andria quando Carbutti e Fisfola hanno presentato il nostro primo lavoro nel 2006 e negli anni successivi sono stati tra i produttori dei nostri lavori, dandoci la possibilità di essere conosciuti dal grande pubblico».
Ci parli del suo progetto che si inizia in questa edizione di Castel dei Mondi.
«Presento una collaborazione con i grandi maestri del teatro europeo e non solo, quest’anno iniziamo con Arthur Nauzyciel, un grande regista attore e direttore di uno dei teatri di Francia più importanti, il Teatro nazionale di Bretagna. Sarà un incontro dove confrontandomi con lui, salendo sulle sue spalle in senso metaforico, avrò la possibilità di far conoscere al pubblico quello che sta avvenendo in Europa e di mostrare attraverso una serie di fotografie e una serie di frammenti di suoi spettacoli, la poetica e la poesia del suo lavoro».
Di recente lei ha dichiarato: "Dovremmo fare una rivolta, mettendoci insieme, in una lotta collettiva possiamo fare capire ai nostri governanti, politici, burocrati, che la cultura e l’educazione sono un bene essenziale, sono un nutrimento dell’anima, come l’aria, che abbiamo bisogno di respirare in ogni secondo delle nostre vite". La cultura è completamente assente anche dai programmi dei partiti politici alle prossime elezioni politiche. È sempre convinto della necessità di una rivolta?
«Alimentare l’anima è più importante che alimentare i portafogli, ma i nostri politici non lo comprendono. La bomba è esplosa in questi lunghi mesi di pandemia. Quando mi sono trasferito in Francia ho scoperto la voragine gigantesca che c’è tra noi italiani e i francesi, lì la cultura è considerata con la C maiuscola. Ed è questo uno dei motivi per cui oggi abito in Francia e sto realizzando diversi progetti con le istituzioni francesi. C’è un rispetto che da noi manca. Ecco perché dovremmo metterci tutti insieme e fare la rivolta».
Infine, da condirettore della Biennale Teatro come vede il futuro del teatro nel nostro paese?
«Sono ottimista. In Biennale abbiamo la fortuna di avere carta bianca e di poter scegliere in base alla nostra sensibilità e stiamo lavorando per dare la possibilità anche ai giovani artisti che sono i nostri futuri tessitori di sogni».