Cosa contraddistingue i musei vaticani? A rispondere è Barbara Jatta, nominata nel 2017, la prima donna a dirigerli. Ha un tono rigoroso, ma sereno, pieno anche di un certo orgoglio per il magnifico e importante ruolo che svolge, per tutto ciò che sa di aver fatto per i suoi musei preferiti: «Una quantità di collezioni universali che permettono veramente di coprire secoli e secoli di creatività umana, ma anche di storia. Ma la cosa più importante è che è una storia al servizio della fede, della spiritualità, al servizio della propagazione e della divulgazione. Sentimenti cristiani, devozione e fede che ne fanno una cifra assolutamente unica in una compagine di tanti altri musei nel resto del mondo». E a chi li visiti non può sfuggire l’evidenza della rivelazione divina in tutti i momenti e gli aspetti del reale di Raffaello, chiamato apposta agli inizi del ‘500 da papa Giulio II in quel progetto di renovatio urbis e restauratio historiae: Roma doveva essere la visibile dimostrazione della storicità, dell’universalità e autorità del papato. Quel Dio di Michelangelo, nudo, atletico, e immagine della suprema giustizia che in un vortice di beati e dannati, implacabile, nel contrasto logico della colpa e della grazia decide le sorti dell’umanità, anche a un non credente farebbe scattare la crisi escatologica della vita e della morte.
Direttrice Jatta, quale sensazione si prova a rimanere soli in mezzo al bello e al divino dell’arte rinascimentale fino ad arrivare al culmine stendhaliano?
«Girare per questi corridoi, per le sale e le stanze e giungere fino alla Cappella Sistina è una sensazione unica di grande privilegio, e di appagamento degli occhi e dello spirito».
Ciò che li contraddistingue, è il loro modo di essere concepiti, come l’abbraccio cristiano del colonnato del Bernini, che racchiude e si apre a tutto il mondo.
«Noi viviamo nella realtà contemporanea quindi siamo parte di essa, Papa Francesco nella sua idea di arte ci chiede di essere una casa aperta, ma soprattutto una casa viva, che accoglie tutti e che è presente nel mondo contemporaneo e nel mondo futuro».
Del resto, i Musei Vaticani sono rimasti aperti, virtualmente, anche durante la pandemia, lavorando molto con i social network...
«Sì, è servita tutta la parte digitale, un sito carico e ricco, un portale che offre una conoscenza prima, durante e dopo la visita».
Il pubblico è cambiato?
«Senza dubbio, è un pubblico molto più giovane, prima probabilmente frequentava meno le nostre collezioni. Sono tornati inoltre tanti italiani di aree limitrofe a Roma e adesso iniziamo a rivedere i turisti esteri».
Con gli altri direttori dei musei internazionali c’è stata collaborazione?
«Decisamente sì, in una fase impensabile, così improvvisa e inimmaginabile, ci siamo riuniti ogni mese on-line nel cosiddetto “gruppo Bizot”, un laboratorio di idee e di scambi culturali attivo ormai dal 1992, per gestire tante problematiche. Con i direttori dei musei italiani c’è molta amicizia e stima».
Lei, non dimentichiamolo, proviene per parte paterna da una famiglia di Ruvo di Puglia che possiede un bellissimo museo archeologico. Suo padre, che era avvocato, aveva studiato dai Gesuiti, quindi di cultura ampia e con un interesse molto spiccato per l’archeologia. Il museo Jatta è diventato nazionale, ma si trova sempre nel palazzo di famiglia...
«È una parte fondamentale della mia educazione, della mia vita, della mia infanzia, parte fondamentale della nostra famiglia. Fin da piccola ho respirato un’aria particolare: l’attuale mio interesse, enorme, per le collezioni archeologiche, ha sicuramente qualcosa di genetico. La famiglia Jatta aveva dei possedimenti nel territorio intorno a Ruvo e a inizio ‘800 con gli scavi - alcuni Jatta erano anche archeologi - è riemerso materiale studiato poi con grande curiosità. Mano a mano è diventata una collezione privata al servizio del territorio. Hanno valorizzato quelle opere archeologiche nell’area dove erano state rinvenute e dove erano state concepite».
La situazione museale in Italia non è uguale ovunque.
«Il museo è una casa aperta ed è lo specchio della società ed è chiaro che ci sono realtà diverse, al sud come al nord, espressione della storia d’Italia e del luogo in cui sono sorte, con un patrimonio museale vasto e bellissimo».
Barbara Jatta sorride a una domanda riguardo al ruolo di una donna ai vertici d’una prestigiosa istituzione culturale, perché non ha molto senso in un mondo che sta cambiando, e tante sono le donne direttrici di musei fra i più importanti al mondo.
È certamente una condizione di privilegio...
«Ma la stessa cosa sarebbe stata per un uomo, e a testimoniarlo i precedenti direttori dei musei vaticani che considerano questa esperienza come unica e la più bella fatta nella loro lunga carriera. Ci vuole tanto studio, tanto lavoro e tanta passione, i tirocinanti presso di noi, quando finiscono e danno il benvenuto a chi arriva, lasciano quasi piangendo questa formazione, entusiasti dell’arricchimento avuto. Ed è un testimone bellissimo a chi arriva pieno di speranze che poi vengono ripagate».