Sabato 06 Settembre 2025 | 18:50

Mattia Maita suona la carica: «Bari, siamo da playoff»

 
antonello raimondo

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antonello raimondo

Mattia Maita suona la carica: «Bari, siamo da playoff»

Il centrocampista messinese: «La pressione? A me piace da morire. Una maglia non per tutti». «La gente merita una squadra vincente. E noi possiamo renderli orgogliosi di noi»

Lunedì 24 Marzo 2025, 12:44

BARI- Il bello del... difficile. Più soffri e più c’è gusto. A riprenderti la scena, sì. Quando ti ritrovi giù apprezzi meglio quello che viene dopo. Capisci l’essenza della vita, soprattutto nelle piccole cose. A non dare mai qualcosa per scontato. Ecco, quando pedali in discesa qualcosa sfugge. Una corsa senza curve ti priva di spifferi emotivi. Cambia moltissimo, così.

Prendiamo il percorso di Mattia Maita. Arriva a Bari con l’etichetta di «certezza per la serie C». Poi il salto in B, meritato a suon di prestazioni sontuose. Qualcuno sussurra: «Può giocare anche in serie A». Quel sogno sfumato a centoventi secondi dalla fine di un playoff a mezza strada tra incubo e magia. E poi un’annata in cui succede un po’ di tutto. Retrocessione evitata anche per il rotto della cuffia.

Ma non finisce a Terni. La salvezza non sana tutto, anzi. Sembra che qualcosa si sia rotto, la sensazione di un divorzio che profuma di un piccolo «delitto». Maita sul mercato, ecco. Conferme e smentite, prima del grande disgelo. Son cose da calcio, a volte ci si lascia anche col cuore gonfio di tristezza. Ci sta, al diavolo le finte retoriche.

Una storia diversa, dopo. Nuova ma terribilmente legata a un passato ingombrante. Mattia si rimette al centro del villaggio. Gioca e stupisce. Titolare, punto e basta. Inamovibile, anche. Col destino che si diverte a rimettergli la fascia al braccio. Quella fascia che, in un’estate torrida non solo per questioni metereologiche, aveva provocato un piccolo corto circuito. Si chiama gelo.

E ha rischiato di mandare tutto all’aria. Ma volete mettere che gusto, oggi, riscoprire il senso della vita? Dal campo, la «casa» preferita da Maita e tutti quelli che inseguono un pallone con gli occhi di un fanciullo che si affaccia sul balcone della vita. Tutto più bello. Più tutto, anzi.

Maita, a quasi 31 anni le capita di ripensare agli inizi?

«Sempre. Agli anni dei sogni a occhi aperti. E quelli sono per sempre».

Se dovesse fare un nome ripensando alla sua carriera?

«Nessun dubbio, mio padre Giuseppe. Per me ha fatto di tutto, con sacrifici enormi. Senza lui oggi non sarei qui».

Quanto è difficile andare d’accordo con un genitore quando c’è di mezzo lo sport?

«Per me è stata una passeggiata. Papà è stato una figura fondamentale ma molto discreta. Ecco perché ne parlo in un certo modo».

La cosa più difficile?

«Lasciare casa a 13 anni. Tosta, davvero. Ricordo ancora le sofferenze di mia sorella Ramona. Se ci penso... mi sento ancora male. Però ne è valsa la pena».

Messina cosa rappresenta?

«La mia città. E gli inizi da calciatore. Fino a 10 anni ho giocato nella squadra del quartiere Camaro. Poi è cambiato il responsabile del settore giovanile e mio padre mi ha portato via. Da Reggio Calabria sono ripartito, giocavo con quelli più grandi e ricordo che c’erano tante squadre interessate a me».

A Catanzaro s’è visto un Maita di livello. Non a caso, poi, scelto da un Bari che ambiva alla serie B.

«Anni importanti, stagioni proficue. Ho lavorato con allenatori importanti, Auteri su tutti».

Gli allenatori, già. Andiamo a caccia degli aggettivi giusti. Cominciando da Vivarini.

«Salvatore. Mi ha cambiato la vita. Gli sarò sempre grato».

Auteri.

«Che dire? Più che un aggettivo mi vien di dire che è stato come un papà. Speciale, ecco».

Carrera.

«Un ottimo gestore».

Mignani.

«Un galantuomo. La sua umiltà, un grande esempio per tutti. E poi è bravo, molto bravo».

Le va di parlare dell’anno scorso?

«No. Mi perdoni ma proprio non ce la faccio, meglio evitare».

La rosa non era scarsa. Forse tutti quei cambi di allenatore hanno complicato le cose. L’errore più grande di un ottimo uomo di calcio come Ciro Polito.

«Andiamo oltre. Ma una cosa voglio dirla. Se Diaw non avesse avuto problemi fisici avremmo fatto cose ben diverse».

Non tutto da buttare, insomma.

«Direi di no. Mi piace, per esempio, ringraziare Giampaolo e Di Bari. Ci hanno aiutato a ritrovare fiducia e senza il loro apporto non ci saremmo salvati».

Dalla fantastica cavalcata verso la serie A alle porte dell’inferno. Le capita di pensare a quella maledetta partita contro il Cagliari?

«Spesso. Ma non ho mai più voluto rivedere le immagini. Troppo dolore, mi creda. Ed è stata dura andare avanti».

Bari, piazza fantastica ma anche complicata. Qualcuno dice che è arrivato terzo pur senza avere un allenatore. Tutta colpa di Mignani, insomma. Ci sarebbe da ridere. Se non fosse che in realtà vien da piangere...

«Eravamo senza allenatore anche in C? Ma non scherziamo...».

Le diranno che il Bari aveva uno squadrone.

«Allora è gente che non sa nulla di calcio. Ogni anno, in tutti i gironi, ci sono corazzate che fanno investimenti importanti. Ma non tutti vincono. E vogliamo parlare della stagione in B? Record di vittorie in trasferta, tanto per dirne una. E finale di stagione senza Folorunsho, un big. Andiamo avanti, su. Parliamo di cose serie».

E quest’anno, come la mettiamo?

«Ci siamo un po’ incartati. E sa perché? Quelle rimonte subite hanno lasciato il segno. Ne indico una, per me devastante. In casa contro la Reggiana, da 2-0 a 2-2. Da quel momento abbiamo giocato con un po’ di freno a mano. Meno incoscienti, meno allegria. Possiamo tornare quelli dell’inizio. La squadra piaceva e io mi divertivo da matti».

Maita, faccia uno sforzo di sincerità. Se il Bari dovesse fallire l’obiettivo playoff?

«Sarebbe una delusione terribile. Perché un risultato inferiore al valore del gruppo».

Anche lei, al pari di molto suoi compagni, pensa che il Bari sia forte?

«Assolutamente sì. Il Bari è forte».

Se le chiedono della piazza di Bari lei cosa risponde?

«Fantastica. Però occhio, non è per tutti. A Bari non può giocare chiunque».

E la storia della pressione?

«Normale ci sia in una grande piazza. Posso farle una confidenza?».

Prego.

«Io la amo. Se non ci fosse mi annoierei. Per me è il sale della vita. Quindi, Bari tutta la vita».

Ma è vero che c’è odore di rinnovo contrattuale?

«Si sta trattando».

Le piacerebbe chiudere la carriera qui?

«Sarebbe la cosa più bella del mondo. Ma ora fatemi pensare al campo. La gente merita una squadra vincente. E noi possiamo renderli orgogliosi di noi. Poi tra poco diventerò papà per la seconda volta. Dopo Isabel mia moglie mi regalerà un maschietto che nascerà qui a Bari. Elisabeth partorirà al Policlinico e ne approfitto per ringraziare il dottor Marco Marinaccio che la sta seguendo con grande cura».

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