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Omicidio Carvone, le verità del pentito: «Volevano eliminare altre tre persone»

 
Omicidio Carvone, le verità del pentito: «Volevano eliminare altre tre persone»

Andrea Romano: «Giampiero fu colto di sorpresa, non si aspettava di essere ucciso. Parla il collaboratore di giustizia sull’uccisione del 19enne Giampiero Carvone la notte tra il 9 e il 10 settembre 2019

Martedì 18 Marzo 2025, 13:19

«Giampiero Carvone non se lo aspettava, lo colsero di sorpresa. Giuseppe Ferrarese ha parlato a un mio affiliato. Quando acquistò fiducia, gli facemmo dire tutto, tanto che doveva morire dottore’. In due avevano decisero di vendicare la morte perché se l’erano cresciuti. Avevano già il calibro 12, che lo dovevano fare. Volevano il mio benestare, perché poi sarebbe successa anche la guerra con Luca Ciampi, visto che c’era l’alleanza. Se non faccio in tempo a bloccare, che incomincio a collaborare con la giustizia, un ragazzo stava già uscendo di casa per andare (da lui, ndr)».

Il verbale dell’interrogatorio del collaboratore di giustizia Andrea Romano sull’uccisione del 19enne Giampiero Carvone avvenuta la notte tra il 9 e il 10 settembre 2019, in via Tevere, nel rione Perrino, davanti al portone della palazzina in cui viveva con la famiglia, è agli atti del processo in Corte d’Assise, chiuso il 18 febbraio scorso con la condanna all’ergastolo di Giuseppe Ferrarese, unico imputato, con le aggravanti dei futili motivi e dell’aver agevolato la Sacra Corona Unita. I giudici hanno escluso la premeditazione contestata dalla pm della Dda di Lecce Carmen Ruggiero. Il verbale è datato 29 gennaio 2021.

«Lo dovevano sparare proprio, già lo avevano preso sul naso, addirittura ucciderlo non lo so, però gli volevano fare male. Dopo l’omicidio Carvone, volevano togliere di mezzo Giuseppe Ferrarese» e altri due ragazzi, uno dei quali sarebbe stato Davide Di Lena, estraneo al processo, indicato come il riferimento di un clan con il quale Romano aveva un accordo e come “mandante” del fatto di sangue.

Secondo Romano, sarebbe stato Di Lena a dare il via libera a «buttare due botte, due colpi». L’altro da fare fuori «non partecipò all’omicidio Carvone, ma a tutti gli altri tentati omicidi» rispetto ai quali sono rimasti gli omissis.

In quel periodo Romano era detenuto nel carcere di Voghera e aveva la disponibilità di un telefono. Il «clan faceva spaccate, rapine, estorsioni, spaccio di droga su tutto il territorio brindisino». Di questo gruppo, avrebbe fatto parte anche Ferrarese come affiliato. Il sodalizio faceva “capo a Davide Di Lena”, a sua volta “affiliato a Luca Ciampi” che “è alleato con me”. Anche Ciampi è estraneo al processo.

Fatta questa premessa per inquadrare il contesto, Romano ha descritto Giampiero Carvone: «Era un ragazzo un poco esuberante, diede fastidio a qualche person«, a qualche attività» e venne «preso a schiaffi». Furono in due ad aggredirlo e gi dissero: “Se devi stare vicino a noi, ti devi comportare come si deve, sennò vicino a noi non ci stai”».

Carvone venne “scartato” e sarebbe stato “un poco” con il gruppo di Romano e “un poco con Di Lena”, perché “era tutta una cosa”. «Successe che un giorno stavano Ferrarese e Carvone al rione Perrino e si litigarono per una questione di soldi. La cosa si chiuse lì per lì». Poi ci fu il furto dell’auto”. «La rubò Carvone», si legge nel verbale del collaboratore che ha indicato anche Ferrarese e altri due nomi come complici. L’auto «era di qualche parente di Danilo Pugliese» (estraneo al processo, ndr). Perché quel furto? «Dovevamo fare le spaccate, le rapine». Una volta che si seppe chi aveva commesso il furto, «Carvone lo mandarono a chiamare e andò anche Ferrarese e gli dissero guarda che la macchina è mia».

Il 19enne disse: «No, macchina non ce n’è piu». «Pugliese - sostiene Romano - si voltò e disse “va bene, poi quando succedono i guai non piangete”». La sera ci sarebbe stata l’esplosione di colpi di fucile calibro 12 nei confronti di Ferrarese e Carvone che “riuscirono a scappare”. Nel verbale sono leggibili anche i nomi dei due indicati come autori dei colpi. Ferrarese avrebbe raggiunto Carvone a casa per dirgli «diamogli la macchina, perché non ci siamo caricati un problema inesistente, per un’auto succede un casino. No, disse. Mo’ (ora, ndr) ti faccio vedere una cosa io, mo’ li devo ammazzare tutti. E Ferrarese disse per una macchina facciamo la guerra?». I due ragazzi avrebbero iniziato a «litigare di brutto, giù a casa. «Si chiuse questa discussione, tutti nervosi se ne andarono a casa di Di Lena». A riferire l’accaduto sarebbe stato Ferrarese. Carvone «rimase a casa».

«Di Lena sfastidiato che questo combinava sempre bordello, disse “andate e buttategli due colpi”. La sera alle 2 organizzarono». Ferrarese e altri due ragazzi sarebbero andati “armati sotto casa di Carvone”. Le generalità dei due giovani sono state indicate dal collaboratore. «Niente meno la madre di Giampiero, disse “non uscire stasera”. Questi arrivarono sotto casa sua, si girò e spararono con una pistola».

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