BARLETTA - Quarant’anni e più come un lungo e articolato romanzo criminale in cui è possibile leggere la lotta ai clan mafiosi, ma anche la cattura degli assassini di un collega maresciallo dei carabinieri ucciso in un conflitto a fuoco in Abruzzo. Oppure imbattersi nell’angosciante ricerca del corpo straziato della piccola Graziella Mansi nei boschi di Castel del Monte una notte d’agosto del 1990. O scoperchiare la rete della giustizia incredibilmente svenduta a Trani.
È racchiusa in questa sequenza e in molte altre ancora la carriera del luogotenente Saverio Santoniccolo, andriese di nascita, barlettano d’adozione, al passo d’addio dall’Arma dei Carabinieri per raggiunti limiti d’età. Una circostanza che lui ha voluto celebrare in un incontro insieme a parenti, amici, colleghi e magistrati tuttora in servizio (come il procuratore di Trani, Renato Nitti, il procuratore aggiunto coordinatore della Dda di Bari, Giuseppe Gatti pm alla Direzione nazionale antimafia, la pm di Lecce, Roberta Licci) oppure no (come il governatore Michele Emiliano o gli ex procuratori di Bari Giuseppe Volpe e Pasquale Drago), che gli hanno tributato il riconoscimento di un lavoro meticolosamente svolto «senza guardare in faccia nessuno». «Anche se fare il proprio dovere fino in fondo è dura - ha osservato Emiliano -. È dura sempre, anche nell’Arma dei Carabinieri».
Il governatore ha incrociato l’allora responsabile del Nucleo Operativo Carabinieri di Barletta all’epoca delle prime operazioni antimafia nel Nord Barese, gli anni delle estorsioni a tappeto e dell’omicida regolamento di conti come metodo di imposizione del potere criminale. Fino all’operazione Fieramosca, che nel 2001 determinò una forte spallata nei confronti del clan Cannito-Lattanzio.
Prima ancora, nell’ottobre 1996, Santoniccolo fu tra gli artefici della cattura di quattro latitanti in un appartamento in località Fiumara, nei pressi della foce dell’Ofanto, tra Barletta e Margherita di Savoia. Un mese prima, il 16 settembre, a Pescara, avevano ucciso il maresciallo dei carabinieri Marino Di Resta, in un conflitto a fuoco seguito alla rapina ad un rappresentante di gioielli. Due anni dopo, con la sua squadra scoprì mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di Francesco Papeo, detto «u’ Petiss», avvenuto nel giugno 1997 nel quartiere Barberini. Papeo era considerato un emergente che non rispettava le «regole», di lì la decisione di capi e gregari del clan Cannito-Lattazio di eliminarlo, al prezzo di tre ergastoli.
«Nell’agosto del 2000 - ricorda uno dei componenti dell’allora Nucleo Operativo dei Carabinieri di Barletta - eravamo a cena a Bisceglie con mogli e fidanzate. Era una domenica. Ci arrivò una segnalazione: qualcosa di terribile era successo a Castel del Monte. C’era bisogno di essere lì sul posto nel più breve tempo possibile per ricostruire i fatti, senza neppure il tempo di cambiare le scarpe per inoltrarsi nella boscaglia». «È stata una delle vicende che più mi hanno colpito - sottolinea Santoniccolo -. Scoprire il corpo straziato di quella bambina è stato atroce per me e per i miei colleghi».
Torniamo al contrasto della criminalità organizzata. Il 2005 è l’anno delle operazioni «Download» e di «Commando», un’attività di polizia giudiziaria, quest’ultima, che porta allo smantellamento di una organizzazione mafiosa costituita da pericolose frange criminali calabresi, canosine, cerignolane e foggiane specializzata nelle rapine in danno di furgoni portavalori.
Risale sempre al 2005 l’Operazione «Borea»: nel mirino un gruppo malavitoso locale ed albanese dedito al traffico internazionale di stupefacenti. Arriva il 2008 ed è la volta dell’Operazione «Drugstore»: in quel caso gli arrestati, in maggioranza residenti a Canosa, si dedicavano ai maxi furti nei depositi del nord Italia di prodotti fitofarmaci ed alla successiva immissione nel mercato clandestino.
Nel 2012 i quindici destinatari di altrettante ordinanze di custodia cautelare sono prevalentemente residenti ad Andria e a Bari, tutti accusati di riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione di cittadine rumene. Nel 2013, due latitanti non si fermano all’alt di una pattuglia della Guardia di Finanza e tentano di investire i militari. Si nascondono nella capitale, dove Santoniccolo e i suoi uomini li stanano, in via Casilina, con deposito di armi annesso. Ancora 2013, Operazione «Predator»: 11 gli arrestati ad Andria perché accusati di mettere a segno furti di ingenti quantitativi di gasolio nei depositi del nord Italia per poi rivenderlo da queste parti grazie a ricettatori compiacenti. Sempre nel 2013, la scoperta di una banda di canosini e campani (Operazione «Amaro Pargo») specializzati nelle rapine ai portavalori. Due gli assalti sventati nel corso delle indagini. Non furgoni portavalori ma tir le prede degli andriesi arrestati nel 2014 nell’inchiesta «Truck Stop». Nel 2016 è la volta di «Red Eagles»: in quel caso malavitosi di Trani, Andria e Cerignola trafficavano droga e armi. Furono sequestrati 1.200 kg di marijuana, 25 kg di cocaina e numerose armi a Bari, nella disponibilità del clan dei Palermiti. Sventato un sequestro di persona a scopo estorsivo.
Il 2018 è l’anno della orribile strage di San Marco in Lamis. I carabinieri di Barletta riescono a identificare l’organizzatore della carneficina, il boss di Manfredonia Saverio Tucci, dipanando il filo del furto d’auto avvenuto a Trani per procurarsi l’auto dell’agguato. Ricorda l’ex procuratore Volpe: «Fu allora che colleghi magistrati mi parlarono dell’investigatore Santoniccolo. Non lo conoscevo ancora, ebbi modo di riscontrare che la sua fama era più che meritata». Sullo sfondo, l’asse Gargano-Barletta per lo spaccio di stupefacenti. Tucci fu ucciso ad Amsterdam dal narcotrafficante Carlo Magno, poi diventato collaboratore di giustizia.
A proposito dei collaboratori: sono stati più di una ventina gli uomini che si sono convinti a rinnegare il proprio passato nel corso di questi decenni e a chiedere proprio al luogotenente di aiutarli a cambiare campo. Al contrario, nel 2019, partendo dalle indagini su alcuni attentati estorsivi avvenuti a Canosa qualche anno prima, saltò fuori una vera e propria organizzazione (Operazione «Sub rosa dicta», letteralmente «ciò che viene detto sotto la rosa è segreto») costituita da magistrati in servizio, poliziotti ed avvocati accusati a Trani di una nutrita serie di reati contro l'amministrazione della giustizia.
«Si dice che il genio sia infinita pazienza. Come definizione è pessima, ma calza a pennello al lavoro dell’investigatore», annotava Arthur Conan Doyle, inventore di Sherlock Holmes. Ma la pazienza di seguire incontri e intecettare voci da sola non basta. Poi bisogna aggiungerci spirito di osservazione, capacità analitica e pensiero critico, quello che non ti fa scendere a compromessi, «senza paura e senza speranza», come osservavano i latini.
Nel 2019, c’è anche l’Operazione «Nabucodonosor» 25 arresti di capi e gregari di tre distinte organizzazioni malavitose, nate dalle ceneri della storica organizzazione Cannito-Lattanzio, che gestivano le attività di traffico e spaccio di stupefacenti sulla piazza barlettana. Quindi l’arresto di 25 persone (di Andria e Cerignola) accusate di associazioni per delinquere finalizzata ai furti di autovetture, rapine e riciclaggio.
Al comandante della Sezione Operativa Carabinieri di Barletta (dal 2019), nel corso degli anni sono stati riconosciuti 15 encomi, attestati di meritoria attività investigativa da parte di diverse autorità giudiziarie, riconoscimenti e premi da parte di autorità e organizzazioni civili, suggellati dall’onorificenza di cavaliere al merito della Repubblica conferitagli dal presidente Mattarella. Tutto ciò alla fine fa pensare che, certo, è vero, «tutti sono necessari, nessuno è indispensabile», ma non è che talvolta qualcuno diventa più necessario degli altri, rasentando l’indispensabilità?