BAR - La Puglia quest’anno non c’è, ma questo non vuol dire – come spiegano i vertici di Flai Cgil – che la situazione nella nostra regione non sia nota, studiata e approfondita. Quest’anno, comunque, il Rapporto Agromafie e caporalato, giunto alla settima edizione e presentato nei giorni scorsi, alla presenza del sottosegretario all’Agricoltura Patrizio La Pietra, punta su due regioni del sud – Basilicata e Calabria – alle quali si aggiungono Piemonte e Trentino, ed evidenzia che il 30% dei dipendenti del settore agricolo delle quattro realtà esaminate è irregolare. Un vero e proprio esercito che conta 200mila persone, all’interno di un settore che vale 73,5 miliardi di euro. Ma c’è di più: al netto dei guadagni – pari a poco più di 6mila euro all’anno – risulta anche che le più colpite siano le donne, 55mila lavoratrici, potenziali vittime di sfruttamento. Ad ogni modo, i controlli sono aumentati la scorsa estate, dopo la scomparsa del giovane bracciante indiano Satman Singh, in provincia di Latina, ma – secondo quanto si legge nel rapporto – si è trattato di un picco, perché poi «si è tornati nell’ordinarietà».
E, nonostante non sia compresa nel rapporto, anche la situazione pugliese è monitorata, soprattutto perché è una sorta di realtà-simbolo per quanto riguarda non solo lo sfruttamento di cittadini stranieri ma anche degli italiani. Secondo la Flai Cgil, infatti, in Puglia, soprattutto nella zona tra Brindisi e Taranto la prevalenza di operai agricoli è italiana, con un 57% rappresentato dalle lavoratrici, che ricevono una retribuzione inferiore rispetto a quella degli uomini, con un evidente problema di genere. Altro fenomeno particolarmente delicato è lo spostamento dei lavoratori, che si allontanano dalle aree di residenza fino a 150 km, verso il Barese ma anche fuori regione, verso il Metapontino. Nel Foggiano, invece, la situazione cambia, perché lì la prevalenza è di lavoratori stranieri, ed è l’area nella quale i caporali mettono in atto anche lo strumento di ricatto degli alloggi.
Come detto, il rapporto prende in esame il lavoro irregolare in quattro regioni analizzate, a partire dalla Basilicata dove sono oltre 10mila i lavoratori sottoposti a forme diverse di sfruttamento, di cui 5mila irregolari residenti e circa 5/7mila avventizi e pendolari. Nelle province di Trento e Bolzano, si stimano più di 6mila lavoratori definiti “non standard” o irregolari in agricoltura e nel settore della carne. Sul territorio crotonese il numero è tra gli 11mila e i 12mila, inclusi i 4-5 mila lavoratori e lavoratrici stranieri che ogni anno arrivano in occasione di fasi di lavorazione che richiedono picchi di forza lavoro, come ad esempio le raccolte. In Piemonte, invece, gli irregolari oscillano tra gli 8mila e i 10mila, a livello provinciale spicca Asti dove se ne contano 2mila.
Tante le forme di sfruttamento rilevate: l’intermediazione illecita di manodopera si riscontra pressoché ovunque, nel 2023, a fronte di un aumento del 40% dei controlli effettuati rispetto al 2022, crescono gli arresti (+80%) e soprattutto il numero di reati e illeciti amministrativi (+153%), così come delle denunce (+207%). Le violazioni accertate dall’Ispettorato nazionale del Lavoro nel 2023 hanno riguardato 7.915 lavoratori, 1.668 per lavoro nero di cui 146 lavoratori extra comunitari sprovvisti di permesso di soggiorno; i casi di caporalato sono 2.123. Un quadro dove si insidia pesantemente la criminalità ambientale. Lo scorso anno la geografia degli ecocrimini segna un aumento del 9,1% dei reati e degli illeciti amministrativi in tutti i settori dell’agroalimentare; a crescere anche le sanzioni penali e amministrative (+27,1%), le denunce (+45,7%), gli arresti (+3,9%) e soprattutto i sequestri più che raddoppiati (+220,9%).
Per La Pietra servono «azioni forti di repressione contro il caporalato, ma anche creare un modello culturale differente». A detta del senatore meloniano «non basta solo un decreto, una norma per combattere questo fenomeno ma servono azioni continuative culturali e di formazione e aumentare la sicurezza nel lavoro».
Critica, invece, Francesca Re David, segretaria nazionale Cgil, secondo la quale «bisogna smettere di nascondere la polvere sotto il tappeto per salvaguardare il buon nome del made in Italy, vanno messi in campo tutti gli strumenti idonei a sradicare questo fenomeno a partire dalla programmazione continua e capillare dei controlli e della cancellazione della Bossi-Fini, che è la prima legge sulla precarietà di questo Paese». Redditi insufficienti e condizioni di lavoro insostenibili, per il segretario generale della Flai Giovanni Mininni «sono ancora profondamente radicate, ben più di quanto dicono i numeri ufficiali, censiti dall’Istat o emersi nelle poche ispezioni dell’Ispettorato del lavoro».