«A te, che non ami leggere». Beatrice D’Abbicco spazza ogni dubbio sulle proprie intenzioni dall’incipit della silloge La poesia non esiste: pro e contro di essere poeta. Domani alle 17.30, nello Spazio 13 di Bari, l’autrice presenterà il suo nuovo volume edito da Eretica , (pp. 80, euro 14). L’evento è un’occasione di confronto sul potere della scrittura e sulla visione identitaria, grazie anche all’esposizione fotografica curata dalla stessa D’Abbicco. La trentenne poetessa barese, con la sua penna di approfondimento, restituisce la natura ibrida di un libro pensato per stare «fuori dai margini», prima ancora che sugli scaffali. La poesia non esiste: pro e contro di essere poeta si presenta come una negazione e finisce per essere un atto di fede civile nella parola. Il titolo è infatti una provocazione consapevole: oscurare l’esistenza della poesia per smascherarne le sovrastrutture, i rituali autoreferenziali, le gabbie di un sistema culturale che spesso confonde il valore con il riconoscimento.
Nei testi di D’Abbicco la poetica è sarcasmo, corpo, urgenza, frattura. È materia instabile, «volatile, infiammabile, come essere in vita una preghiera» come emerge da un verso che rifiuta l’idea di una lirica addomesticata e rivendica uno scritto capace di incidere nel reale. L’opera editoriale procede per lampi brevi, metrica secca, aforismi che colpiscono come fendenti. Al centro c’è una riflessione esplicita sul ruolo della poetica nella società d’oggi, soprattutto se interpretata al femminile. «Il sistema che mi dà parola è un patriarca» annota D’Abbicco, mettendo in relazione produzione culturale, potere e violenza simbolica. La scrittura nasce dall’esperienza personale ma si apre a una dimensione collettiva, dove il privato diventa politico e, come rivendica l’autrice, «il personale è poetico».
Attivista di genere da anni impegnata contro la violenza sulle donne, D’Abbicco concepisce il verso come gesto sociale prima ancora che estetico. «Se la poesia non esiste, allora si può scrivere di tutto. O quasi» afferma l’artista, rivendicando il diritto a una parola libera da premi, giudizi e cliché. Scrivere, per lei, non è un esercizio di stile ma un atto di resistenza: «Preferisco essere una impostora e scrivere per urgenza di lasciare un messaggio, sperando possa contribuire a un piccolo cambiamento nel mondo». Nel dialogo con Luciana Cicirelli, la presentazione del libro a Bari diventa così uno spazio di confronto sulle voci femminili e sull’urgenza di nuovi panorami linguistici. In più, le fotografie in mostra non illustrano i testi, ma li interrogano, li contraddicono, li amplificano, restituendo coerenza a un progetto che rifiuta confini netti tra parola, corpo e visione.
















