Eugenio Palermiti, il giovane rampollo del clan mafioso di Japigia, nipote del boss di cui porta il nome, ha dimostrato «una scaltrezza che è propria dei soggetti ben inseriti in contesti criminali». Lo ha scritto la gip del Tribunale di Bari Susanna De Felice nel provvedimento con il quale, qualche giorno fa, ha rigettato la nuova richiesta di scarcerazione per il 20enne. Palermiti è in cella da gennaio scorso per essere stato tra i protagonisti dell’agguato commesso la notte del 22 settembre 2024 nella discoteca Bahia di Molfetta, quando fu uccisa per errore la 19enne Antonella Lopez. C’erano l’assassino reo confesso Michele Lavopa, 21 anni, ritenuto vicino al clan Strisciuglio del San Paolo; il giovane Palermiti, vero bersaglio dei proiettili, amico della vittima, che quella notte era pure armato; Giuseppe Fresa di 22 anni, accusato di aver aiutato Lavopa a disfarsi della pistola (i tre saranno processati con rito abbreviato il 27 novembre). Palermiti, accortosi della presenza del rivale, avrebbe tentato di estrarre un’arma dalla tasca. A quel punto Lavopa prese la sua calibro 7.65 esplodendo sette proiettili: ferì quattro persone, tra cui lo stesso Palermiti, e uccise Antonella Lopez.
Al giovane rampollo di Japigia, invece, l’arma sfuggì di mano, non riuscendo a impugnarla per reagire all’attacco. Le intercettazioni registrate in ospedale nei giorni successivi lo hanno confermato e lui stesso poi lo ha ammesso, in una lettera scritta dalla cella. Una ammissione che poco più di un mese fa lo stesso giudice aveva già ritenuto «parziale», ritenendo anche che «dagli esiti delle indagini non emerge un percorso di revisione critica», avendo al contrario il baby boss un «atteggiamento superficiale e arrogante» e «mai contrito per la tragedia che è conseguita al suo comportamento». Da allora Palermiti jr ha scritto un’altra lettera ai giudici, ammettendo anche alcuni degli altri episodi che la Procura gli contesta e che lui fino a qualche settimana fa negava. E così la difesa è tornata a chiedere la sostituzione della detenzione in carcere con gli arresti domiciliari a Termoli, ottenendo di nuovo un «no». Nel parere negativo dei pm Antimafia Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino si evidenzia, peraltro, il «ruolo primario» del 20enne «nel clan anche all’interno del carcere», ritenendo che il giovane rampollo della più feroce famiglia mafiosa di Japigia «confessa in modo utilitaristico ciò che può servire per allontanarlo dal carcere».
«La tempistica di tali ammissioni progressive, ognuna delle quali è sempre avvenuta successivamente all’accertamento in indagini di una condotta illecita», anche secondo la giudice De Felice «induce a riconsiderare sia la spontaneità sia la genuinità dell’asserita rivisitazione critica del proprio stile di vita» e «una finalizzazione di tali contributi ad ottenere l’attenuazione della misura».