BARI - Si sono ritrovati al mattino presto, proprio dove sorgeva casa loro. Al numero 6 di via Pinto, all’angolo con via De Amicis ora c’è solo l’imponente cumulo di macerie generate prima dal crollo della palazzina avvenuto lo scorso 5 marzo, poi dalla demolizione controllata della parte inizialmente «sopravvissuta» all’implosione. Eppure, tra quei resti, c’è ancora chi spera di rinvenire un pizzico di una vita spazzata via in pochi secondi.
Gran parte dei residenti del fabbricato collassato non erano più tornati in quella zona dalla sera del crollo: troppo forte lo shock subito. Eppure, trascorsi i primi giorni di forte turbamento, avevano ripreso a sentirsi per provare a costruire il complesso percorso che almeno può portarli a comprendere come mettere a frutto la proprietà di quei suoli: l’unica che è rimasta in loro possesso. La quotidianità è scandita da colloqui con legali, tecnici, ingegneri, «ma ormai è da oltre un anno che va così. E pensare che qualcuno forse individua in noi la responsabilità di un dramma di proporzioni immense», affermano all’unisono.
Beni, indumenti, ricordi Erano almeno sei i rappresentanti dei 26 condomini che abitavano la palazzina. Tra loro, c’è anche Gaetano Papagna, il figlio della signora Rosalia De Giosa, salvata dai Vigili del Fuoco lo scorso 6 marzo dopo oltre 26 ore trascorse sotto le macerie. «Mia madre è viva per miracolo, ma ha subito un trauma fortissimo», racconta. «Ora sta seguendo un percorso di supporto per ritrovare la sua stabilità. Sono qui perché spero di ritrovare almeno una parte dei nostri beni. A cominciare dal suo cagnolino, Samira: non so se quel giorno riuscì a scappare, se sia ancora qui in zona o se non si sia salvato. Ma anche nell’ipotesi peggiore vorrei poter dare la giusta dignità ad un componente della famiglia. Senza dimenticare che tra queste macerie ci sono sicuramente oggetti di valore, indumenti, ricordi indelebili, persino cassette di sicurezza che contenevano risparmi. Per tutti noi sarebbe fondamentale riappropriarcene». Una signora riconosce un quadro di casa sua. «Chiediamo aiuto per recuperare i nostri averi. Ci hanno sgomberato da febbraio 2024 senza mai darci certezze su quando saremmo potuti rientrare: siamo sommersi di incartamenti, ma la realtà è che non avevamo nemmeno accesso alla proprietà privata in cui probabilmente erano i pilastri ammalorati. Ritrovare qualcosa sarebbe un piccolo conforto».
La procedura Eventuali restituzioni, però, non potranno avvenire durante le operazioni di rimozione delle macerie. I beni rinvenuti seguiranno la disciplina civilistica degli oggetti smarriti: saranno quindi sottoposti a cernita ed inventario, quindi consegnati al sindaco. Da stabilire, quindi, le tempistiche per le rivendica e le riconsegne, sebbene sia almeno scontato che quanto rinvenuto nella zona appartenga ai residenti del fabbricato crollato. «Chissà quanto tempo passerà prima che si faccia luce su questa vicenda e siano accertati i colpevoli», afferma il proprietario di un altro appartamento. «Ma se siamo qui a vedere quel che resta delle nostre case distrutte è solo perché speriamo di recuperare in minima parte un danno incalcolabile. Ci auguriamo di essere per quanto possibile sostenuti in questo percorso».