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Norman Atlantic, a 10 anni dal naufragio ad aprile il processo d’appello

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Norman Atlantic, a 10 anni dal naufragio ad aprile il processo d’appello

Alla sbarra torneranno il comandante e dieci componenti dell’equipaggio

Venerdì 27 Dicembre 2024, 12:53

BARI - Arriva in Corte d’Appello il caso giudiziario del Norman Atlantic. A dieci anni esatti dal naufragio del traghetto al largo delle coste albanesi, avvenuto nella notte tra il 27 e il 28 dicembre 2014 causando la morte di 31 persone - 19 tuttora disperse - e il ferimento di altri 64 dei circa 500 passeggeri a bordo, è stato fissato il processo di secondo grado. Prima udienza il 10 aprile 2025. Alla sbarra i tre imputati già condannati dal Tribunale di Bari (il comandante Argilio Giacomazzi e i due componenti dell’equipaggio Gianluca Assante e Francesco Nardulli) e altri otto, greci e italiani, assolti in primo grado (dei complessivi 26 che sono stati processati).

Quel dicembre di dieci anni fa fu caratterizzato da un freddo estremamente rigido, con la neve incessante, temperature sotto lo zero e mare in tempesta nelle giornate che precedettero il Capodanno. La motonave navigava nelle acque gelide dell’Adriatico sulla rotta Patrasso-Ancona. Il racconto della notte del disastro è stata affidata da un lato al racconto di chi era a bordo, tra paura e panico, dall’altro all’esito della perizia tecnica che ha ricostruito minuto per minuto il naufragio: alle 3.09 il primo avvistamento del fumo. «Vieni, vedi quel finestrone, è fumo», «no, non può essere mai, deve essere il riflesso del mare», «non può essere il riflesso del mare, è fumo» sono le frasi pronunciate da alcuni componenti dell’equipaggio e impresse nel registratore di bordo. Dal fumo all’allarme incendio passò poi un quarto d’ora: erano le 3.26 quando il comandante urlò «c’è un incendio» per ben sette volte, ordinando di attivare l’impianto antincendio. Alle 3.53 la richiesta di soccorsi inoltrata alla guardia costiera di Crotone: «la situazione è davvero grave. Abbiamo il lato dritto della nave completamente fuori uso, completamente invaso dal fuoco. Siamo anche in blackout». Le indagini hanno stabilito - e i giudici di primo grado hanno condiviso questa ricostruzione - che a causare il rogo sarebbe stato un camion frigo rimasto con il motore accesso durante la traversata perché non c’erano sufficienti prese di corrente per alimentare tutti i mezzi (80 quelli a bordo a fronte di 60 prese). «Sulla Norman Atlantic - scrivevano i giudici - si sono realizzate le peggiori condizioni astrattamente ipotizzabili, che hanno reso l’incendio indomabile a breve tempo dall’innesco». Ma si sarebbe potuto evitare se solo si fossero rispettate le norme che vietano la navigazione di mezzi con motori accesi. Secondo il Tribunale, cioè, «la scelta di aver intrapreso la navigazione nonostante le condizioni meteo marine fossero in peggioramento, costituisce solo una sorta di addebito cumulativo». La vera responsabilità del comandante, l’unico a cui compete la decisione ultima in merito alla partenza della nave, non sarebbe stata tanto quella di «aver deciso di partire nonostante burrasca e mare forza 7», ma di «aver trasgredito o comunque non aver fatto rispettare il divieto di tenere in funzione i motori durante la navigazione. Avrebbe potuto decidere di non partire o dare l’ordine di fare spegnere tutti i motori in funzione qualora ne fosse stata constatata la presenza dopo che la nave era ormai partita: questo avrebbe evitato» incendio e naufragio. Quando poi scoppiò il rogo, chi era incaricato del «giro di ronda», Francesco Nardulli, lo avrebbe fatto in modo incompleto, non rilevando subito le fiamme. Ultima delle presunte negligenze, sarebbe stata quella di Gianluca Assante il quale, incaricato di attivare l’impianto antincendio, avrebbe aperto le valvole del ponte 3, quello sbagliato. Nei confronti dell’armatore, invece, i giudici avevano ritenuto insussistenti le accuse perché nella corrispondenza via mail proprio relativa alla questione dei mezzi frigo a bordo «era stato chiaro» nel dire «carichiamo quello che possiamo, il resto rimane a terra» e, peraltro, «non aveva interesse a che la nave partisse a tutti i costi in assenza delle condizioni di sicurezza, la cui sussistenza era compito del comandante verificare prima di ordinare la partenza».

Per i pm che hanno coordinato le indagini della Capitaneria di Porto, Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano, le assoluzioni sono ingiuste. E così hanno impugnato la sentenza di primo grado, chiedendo alla Corte di Appello di giudicare i componenti greci dell’equipaggio anche se già condannati in Grecia; di riconoscere la responsabilità di Visentini che - ritiene la Procura - avrebbe dovuto «interrompere la navigazione» quando ha capito che c’era un problema relativo ai camion refrigerati da caricare a bordo del traghetto in numero superiore rispetto alle prese disponibili; non ultimo, riconoscere l’aggravante della violazione delle norme sulle sicurezza sul lavoro perché «la presenza a bordo dei passeggeri costituisce l’essenza dell’attività lavorativa da espletarsi a bordo di una nave traghetto e l’attività lavorativa deve avere come principale dovere quello di garantire a bordo la sicurezza dei passeggeri oltre che dell’equipaggio».

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