BARI - L’incidente stradale del 22 giugno 2023 a Japigia in cui è morto il 27enne Christian Di Gioia (sul cui corteo funebre con inchino mafioso è in corso un altro procedimento penale) sarebbe stato causato «esclusivamente» dalla «guida pericolosa» della vittima a bordo della sua moto. Ne è convinta la Procura di Bari che ha chiesto l’archiviazione del procedimento per omicidio stradale a carico di ignoti, escludendo quindi eventuali responsabilità di terzi e, in particolare, dei carabinieri che famigliari e amici del 27enne accusavano di aver provocato il sinistro mortale. I parenti della vittima potranno valutare se opporsi all’archiviazione.
L’INCIDENTE Il sinistro risale alla notte del 22 giugno scorso. Di Gioia è morto dopo essersi schiantato con la sua moto sul ponte di San Pio a Japigia. Erano da poco passate le 2.30 quando il 27enne, in fuga a forte velocità per sottrarsi ad un controllo, avrebbe perso il controllo del mezzo. L’indagine della polizia locale, coordinata dalla pm Desirèe Digeronimo, si è basata sull’analisi delle telecamere di videosorveglianza per chiarire percorso e dinamica e sull’esito di una consulenza tecnica. Sono stati analizzati meticolosamente orari, tragitti e manovre, calcolando i tempi di percorrenza e anche - come sollecitato dalla famiglia - l’eventuale coinvolgimento di altri mezzi. Le immagini non mostrerebbero direttamente il momento dell’incidente ma escluderebbero comunque una collisione tra la moto della vittima e un’auto.
LE MINACCE AI CC Quello che subito è apparso a investigatori e inquirenti come un incidente stradale nel quale la vittima autonomamente avrebbe perso il controllo del mezzo a causa dell’alta velocità (e le indagini lo hanno confermato), è stato descritto nelle ore successive sulle piattaforme social con tutt’altra ricostruzione da famigliari e amici della vittima, attribuendo ai carabinieri - e ad uno in particolare - la responsabilità del decesso. Le minacce e le calunnie rivolte ai militari sono poi finite - anche queste - all’attenzione degli inquirenti.
IL CORTEO FUNEBRE Mentre la Procura indagava sull’incidente e sulle minacce ai carabinieri (già dai primi accertamenti risultati estranei al sinistro), amici e parenti hanno dato l’ultimo saluto al 27enne. Dopo il funerale decine di moto rombanti hanno scortato e accompagnato il carro funebre con a bordo la bara, facendo tappa - contromano - anche davanti al carcere. Sul corteo sono state già chiuse le indagini della Dda per blocco stradale con l’aggravante mafiosa.
Il pm Fabio Buquicchio che ha coordinato le indagini della squadra mobile ha fatto notificare a 11 indagati (sottoposti a dicembre alla misura cautelare dell’obbligo di dimora) l’atto in cui è confermata l’ipotesi accusatoria: tre blocchi stradali consecutivi da via Caldarola al cimitero monumentale del Libertà, facendo tappa e sosta in luoghi simbolici, tra i quali la casa del boss Eugenio Palermiti e il carcere, dove era rinchiuso il suocero della giovane vittima.
Una processione che secondo gli inquirenti baresi è stata mafiosa, perché le oltre cento moto di quel corteo non autorizzato avrebbero «costretto con la minaccia della loro imponente presenza», anche in controsenso, «i conducenti dei veicoli in transito ad arrestare o invertire la marcia», «evocando la forza tipica dell’agire mafioso, ostentando in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi (lo Stato per la manifestazione di sfida eseguita presso il carcere con applausi verso i detenuti, gli ignari automobilisti per i blocchi stradali, nonché tutta la comunità barese costretta a subire il disagio) quella particolare coartazione e conseguente intimidazione, propria dei gruppi mafiosi» e, nel caso specifico, «del clan Parisi-Palermiti predominante nel quartiere Japigia». Non solo. Con quel comportamento, avrebbero «fornito, indirettamente, un supporto di credibilità al clan, dimostrando concretamente il potere di controllare il territorio e violare pubblicamente le leggi dello Stato».