Sabato 06 Settembre 2025 | 15:59

«Vuoti di memoria», l'attore Max Mazzotta a Molfetta racconta la Shoah

 
Sebastiano Coletta

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Sebastiano Coletta

«Vuoti di memoria», l'attore Max Mazzotta a Molfetta racconta la Shoah

In scena Francesca Gariano, Graziella Spadafora, Camilla Sorrentino, Noemi Guido e Claudia Rizzuti

Sabato 27 Gennaio 2024, 15:18

Il teatro come pungolo per la società: ne è convinto l’attore cosentino Max Mazzotta, alla regia di «Vuoti di memoria», prodotto da «Libero Teatro», che sarà replicato stasera alle 20 alla «Cittadella degli Artisti» di Molfetta, in occasione della «Shoah». In scena Francesca Gariano, Graziella Spadafora, Camilla Sorrentino, Noemi Guido e Claudia Rizzuti.

Uno spettacolo nato diversi anni fa, ma recentemente «rinfrescato».
«Rinfrescato è la parola giusta. L’ho messo in scena la prima volta senza pensare a ciò che sta accadendo in quest’ultimo periodo. Il teatro, alla fine, è sempre presente e ci dà intuizioni e suggerimenti per rendere più chiaro il mondo contemporaneo».

Che funzione può avere il teatro in un’epoca in cui la realtà è filtrata dalla televisione e da internet?
«Io credo metaforica e simbolica: alcuni messaggi che il teatro lancia possono essere più potenti della realtà stessa. “Vuoti di memoria” racconta fatti storici vicini a noi, vissuti dai nostri genitori e dai nostri nonni. Il problema è che i popoli dimenticano: a volte si riesce a conservare una traccia (penso agli uomini preistorici che hanno inciso il proprio passaggio su una pietra), altre volte la memoria è come una bolla di sapone che scoppia e non lascia nulla di sé. Il compito del teatro è riempire i vuoti della memoria».

Secondo lei abbiamo reso la memoria una sorta di slogan privo di consistenza?
«Esatto. I luoghi della memoria come Auschwitz, oggi, sono spesso intesi come mete turistiche. La memoria da sola non può bastare: bisogna alimentarla con la conoscenza».

A quali autori si è ispirato per lo spettacolo?
«Innanzitutto a Shakespeare: chi meglio di lui ha saputo interpretare le diverse sfumature dell’animo umano? Ho preso, poi, in prestito parole di filosofi e scrittori come Primo Levi, testimone diretto della Shoah. Il lavoro verte sulla dimensione del carnefice e quella della vittima. Tutti abbiamo una doppia natura: sta a noi scegliere, ma solo dopo aver preso coscienza del valore delle nostre azioni. Penso spesso a Gandhi, che, in tempi molto più recenti rispetto, per esempio, a Gesù, ci ha dimostrato che si può agire diversamente».

E’ in crisi il teatro rispetto alle società della storia?
«Lo è come, del resto, lo sono tutti i movimenti intellettuali. Viviamo in un mondo dominato dai social, dove il teatro e la cultura devono trovare una propria collocazione. Il teatro è un’esperienza catartica che deve tornare a coinvolgere i giovani, i cittadini del domani. Gli eventi negativi che ci stanno devastando sono, d’altro canto, linfa vitale per il teatro, che può farci ripartire dalla bellezza».

Quale, tra i molti insegnamenti che il suo maestro, Giorgio Strehler, le ha lasciato, ritorna ogni giorno nella sua vita?
«Mi ha insegnato, su tutto, che uno spettacolo deve sempre avere un’impronta poetica e politica fondamentale. Il teatro non può non avere un risvolto sociale ed essere a servizio della gente, lasciare qualcosa nello spettatore che lo porti a riflettere e, dunque, crescere».

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