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Bari, «condannata a sua insaputa»: Cassazione annulla sentenza dopo che ha quasi scontato la pena

 
Massimiliano Scagliarini

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Massimiliano Scagliarini

Bari, «condannata a sua insaputa»: Cassazione annulla sentenza dopo che ha quasi scontato la pena

Il caso di una ex prostituta rumena. L’avvocato: situazione kafkiana

Lunedì 25 Luglio 2022, 13:58

26 Luglio 2022, 16:45

BARI - Un controllo stradale di routine, con verifica al terminale. Salta fuori una condanna per lesioni e tentata estorsione a 4 anni e un mese di carcere, emessa nove mesi mesi prima e di cui Elisa V. (nome di fantasia), 27 anni, rumena residente da un decennio in Italia, sposata con un barese e madre di tre figli, giura di non sapere niente. Ma la sentenza è irrevocabile e deve essere eseguita: la novembre 2019 a donna è stata portata in carcere a Trani.

È una di quelle scene che si vedono nei film. Un lungo film che si è concluso in Cassazione, tre anni e due ricorsi dopo, con l’annullamento della sentenza. Tecnicamente si parla di rescissione: significa che il processo a Elisa, ex prostituta di strada, si è svolto a sua insaputa. Dieci giorni fa, quando il suo avvocato, Cristian Di Giusto di Bari, ha ricevuto il dispositivo, la donna (che nel frattempo aveva ottenuto i domiciliari) è stata rimessa in libertà. Ma ormai aveva già scontato tre quarti della pena: a tutti gli effetti un errore giudiziario.

Secondo il Tribunale di Bari, nel 2011 la rumena avrebbe aggredito una «collega» durante una lite di strada. Le notifiche degli atti relativi all’accusa sono state effettuate allo studio del difensore d’ufficio e il processo si è svolto senza la presenza dell’imputata. Solo che - questo ha sostenuto il suo nuovo difensore nei vari ricorsi - già dal 2013 Elisa aveva spostato la residenza nel Barese, dove si era sposata con un italiano: sarebbe dunque bastata una ricerca all’ufficio anagrafe. Invece le ricerche, demandate alla polizia municipale di Bari, sono state svolte «presso i vari campi Rom della zona di Bari» e nelle zone dove «di solito (si) svolgono attività di meretricio». Ricerche vane, e processo sospeso per irreperibilità fino a quando la Municipale non trasmette una nota del ministero dell’Interno con allegata la ricevuta di una raccomandata «per l’atto di notifica» a Craiova, città natale di Elisa. Recapitata in giorni in cui la donna, secondo la difesa, si sarebbe trovata in Italia.

Per prevenire situazioni come queste, dal 2017 la legge italiana prevede la possibilità di ottenere la rescissione del giudicato: se il condannato prova di non essere stato messo a conoscenza del processo a proprio carico, la sentenza viene annullata e si riparte da zero. Ma a gennaio 2020, la Corte d’appello di Bari ha dichiarato inammissibile per un motivo procedurale la richiesta di rescissione: ordinanza annullata a ottobre 2020 dalla Cassazione, con invio degli atti a una sezione differente. Anche il secondo esame, esattamente un anno dopo e nonostante il parere favorevole della Procura generale, si è concluso con un rigetto. La Corte d’appello ha detto che non c’erano i presupposti per annullare la condanna: secondo la Prima sezione la raccomandata «rumena» è valida, e sarebbe invece «inverosimile» e «privo di riscontro» che in quei giorni la donna si trovasse invece in Italia. «D’altronde - hanno scritto i giudici in risposta alle obiezioni circa il fatto che Elisa V. fosse residente nel Barese - non vi erano ragioni per estendere le ricerche anche a Bari, atteso che il reato era stato commesso in Bari né ovviamente le stesse (ricerche, ndr) potevano estendersi sull’intero territorio nazionale».

E così la difesa ha presentato un secondo ricorso per Cassazione, contestando l’illogicità del ragionamento in base a cui il Tribunale ha ritenuto valida la notifica di una raccomandata all’estero, senza firma leggibile, a un indirizzo diverso da quello di residenza. Nonostante il parere negativo della Procura generale, la Seconda sezione ha accolto il ricorso e revocato la sentenza di condanna: Elisa V. è tornata libera quando le restava da scontare (al netto delle franchigie) un anno e un mese. Non ci sarà nessun nuovo processo, perché l’accusa (nata da una querela della presunta vittima) ormai è prescritta.

«Tutta questa vicenda - dice l’avvocato Di Giusto - è assolutamente kafkiana. Se davvero fosse stata messa a conoscenza delle accuse a suo carico, anch’esse del tutto sfornite di prova, una madre di 3 bambine, coniugata e da tempo regolarmente inserita nella società si sarebbe attivata per difendersi, non avendo nulla da guadagnare, come si è visto, da un processo celebrato in contumacia».

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