di DOMENICO DELLE FOGLIE
Tutto si potrà dire di Jorge Mario Bergoglio, tranne che passi inosservato o susciti sentimenti unanimi e convergenti. Amici e nemici, sostenitori e detrattori, vicini e lontani, favorevoli e contrari, affascinati e insofferenti, fedeli e infedeli… si sprecano. Direte: “Bella forza, è un papa”. Sarà, ma la cifra di questo pontificato è proprio la sua portata “divisiva”. Gli esempi, dopo cinque anni di pontificato del primo papa latinoamericano e gesuita, ormai si sprecano.
Non c’è scelta pubblica, dal favore nei confronti degli immigrati alle indicazioni in materia di eucaristia ai divorziati, dalle aperture alla Cina sulle nomine episcopali all’ecumenismo senza se e senza ma, dalla critica al turbo capitalismo di stampo trumpiano alla difesa dell’ambiente con concessioni al mondo di Gaia, dalle riforme annunciate e sofferte della Curia romana alle indulgenze in materia matrimoniale, dalla medicina universale della misericordia alla disintermediazione ecclesiale, dalla prevalenza della pastorale sulla dottrina alla Chiesa «povera e per i poveri», dalla Chiesa «ospedale da campo» alla Chiesa «in uscita», dal «chi sono io per giudicare?» al matrimonio celebrato in aereo, dalle mancate risposte ai «dubia» sollevati dai cardinali sulle interpretazioni della «Amoris laetitia» alle interviste a ruota libera con i giornalisti di mezzo mondo, dalle telefonate private alle attestazioni di stima a personaggi come Emma Bonino… non c’è scelta pubblica che registri l’unanimità.
Anzi, ormai i partiti (pro e contro Francesco) si vanno sempre più arroccando sulle proprie posizioni. Al punto da spingere «La Civiltà Cattolica», nell’editoriale dedicato ai cinque anni di pontificato, a scrivere che «quel che colpisce è che, mentre fino ad oggi l’opposizione era in buona sostanza ‘grammaticamente’ corretta, cioè capace di criticare azioni del pontefice in carica salvaguardandone però la figura e il ministero, adesso invece essa spesso appare del tutto ‘sgrammaticata’, cioè non in grado di parlare il linguaggio ecclesiale, e persino divisiva su questioni decisive quali l’autorità ecclesiastica o la liturgia. Ciò ha coinvolto persino alti prelati…».
Nel riconoscere poi, che «Francesco, come tutti i papi, ha generato resistenze fuori e dentro la Chiesa», la rivista dei gesuiti sottolinea la dimensione «intimamente e profondamente drammatica» di questo pontificato per cui «a volte il ‘nemico’ si pronuncia vestendo l’abito dei buoni. E a volte l’‘amico’ sceglie, per esprimersi, la parola di un ‘lontano’. Lo Spirito soffia dove e come vuole».
Tutta l’analisi di «Civiltà Cattolica» sembra indirizzata a una sorta di «purificazione» intellettuale ed ecclesiale nei confronti di Francesco e del suo pontificato oggettivamente rivoluzionario e volutamente costruito sulla centralità di Gesù. Dove l’attenzione è rivolta a innescare «processi» in una tensione che appare rivolta all’infinito. Sembra quasi che nella scelta di papa Francesco ci sia tutto il calcolo del rischio, dell’incomprensione, dello spiazzamento e persino dello straniamento. Sembra non curarsi delle fatiche dei suoi contemporanei nello stargli al passo, siano essi chierici o laici. Ciò che importa è la Chiesa che è di tutti e soprattutto dei poveri e lontani. E poco importa se qualcuno si attarda perché non capisce. Un giorno… capirà.
Da cristiano, anch’io come tanti, devo fare i conti con la provocazione vivente di Francesco. Sono uno di quelli che ha avuto la fortuna di incontrarlo e di poter scambiare qualche battuta, persino divertita. Di sicuro, ho tratto la sensazione di una profonda determinazione che non lo farà indietreggiare di un solo millimetro dalla scelta di stare, nella misericordia, a fianco dell’umanità. Della donna e dell’uomo di questo tempo nella loro drammatica condizione.
Sempre da cristiano, dinanzi alla difficoltà di capirlo sino in fondo e di condividerne tutte le scelte, mi sono sempre dato una risposta: «Anche la Provvidenza, nella sua insondabilità, può avere uno stato di necessità. Quello che ha spinto i padri riuniti nel Conclave a scegliere l’uomo ‘preso dalla fine del mondo’. E perciò non mi illudo di capire tutto oggi e posso conservare anche i miei legittimi dubbi personali, senza destare scandalo. Di sicuro, però, so che un giorno quel disegno della Provvidenza si dispiegherà e darà modo alle future generazioni di capire tutte le ragioni per cui il 13 marzo del 2013 i grandi elettori scelsero Jorge Mario Bergoglio come 266esimo Pontefice romano».
Sin qui le mie parole e miei pensieri che certamente suoneranno problematici e forse anche fastidiosi. Mi consolo pensando che Francesco sorriderebbe della nostra inquietudine e forse anche se ne rallegrerebbe. Nel frattempo ci rallegreremo ogni qual volta (succederà di sicuro anche in Puglia fra qualche giorno a San Giovanni Rotondo), Francesco riuscirà a parlare al cuore delle donne e degli uomini del nostro tempo. È il suo mestiere di Papa. Lasciamoglielo fare alla sua maniera. Forse non rassicurante, ma sicuramente intrigante e appassionata.