Sabato 06 Settembre 2025 | 16:21

Ipocondriaci e medico di famiglia, croce e delizia

 
Michele Mirabella

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La confusione sotto il cielo nuvoloso è tanta: l’assembramento delle opinioni, delle congetture, delle vaghe speranze, delle stupidaggini, è imponente

Domenica 04 Ottobre 2020, 16:37

BARI - Anni fa, dopo il debutto di Elisir, il programma sulla salute in Rai, terza rete, che cominciai a condurre, buttai giù un appunto. Ho trovato che fosse utile rileggerlo, aggiustato, in questo momento critico. La confusione sotto il cielo nuvoloso è tanta: l’assembramento delle opinioni, delle congetture, delle vaghe speranze, delle stupidaggini, è imponente. Un assembramento che, come quello fisico che favorisce enormemente il contagio del Covid 19, si allea con la confusione in cui i ruoli e le funzioni confondono l’identità a scapito della ragione. Anche questo è contagioso.

E il contesto sociopolitico minaccia di aumentare la confusione e rischia di indebolire la scienza con misure autorizzate da norme legislative e costituzionali che meriterebbero una riflessione critica comune, nazionale e armonizzata col contesto internazionale. Mi riferisco alla parte del «Titolo quinto» della nostra carta costituzionale che riguarda la salute di cui è lasciata alle Regioni la «legislazione concorrente». Forse la questione meriterebbe una riflessione, almeno per quanto riguarda le emergenze a cui non pensavamo di doverci preparare e un’armonia nazionale nelle misure e provvidenze. Ci vorrebbe un medico di «famiglia italiana».
Dedico, dunque, questo racconto ai Medici di medicina generale che sono in prima linea. Con noi. Anche con gli ipocondriaci. Sipario!

È la visita del medico di famiglia, il benemerito. «Dottore, che sarà?». Lo abbiamo chiamato, abbiamo tentato il racconto dei sintomi al telefono, reclamato subito diagnosi, terapia e prognosi. Poi quel quotidiano eroe della pazienza ci ha fermato: «Non mi pare niente di grave. Domani sarò da lei». Ma a noi non basta: «Domani? Così tardi? E noi come passiamo la notte? No, subito deve venire, subito. Che importa se ha da fare, noi siamo più importanti». Insistiamo e insistiamo ancora, dopo che il dottore ha già detto che verrà, il tempo di vestirsi e uscirà. Come sarebbe vestirsi? E che è, nudo? Ma come si permette di non essere in camice bianco anche alle nove di sera, a casa sua? Si muova, ne va della nostra pelle, della nostra salute. Tutti quei brufoli, poi, quei dolori e arrossamenti non ci lasciano in pace e non può essere come dice lui, il medico, roba da poco, di cui possiamo parlare domani, con calma. Come, con calma? E che ne capisce lui? Lo lasci decidere a noi se ci vuole calma o fregola. Intanto si precipiti. Che importa se si sono fatte le dieci di sera, se piove, è domenica e se il dottore ha appena avuto un figlio. All’ipocondriaco interessa il medico di famiglia e non la famiglia del medico. E il dottore, pazientemente, decide di rispettare il suo dovere e fa quello che aveva messo nel conto quando, anni fa, ha deciso di studiare medicina e quando, al momento di scegliere la specializzazione, stoicamente scelse di fare il «medico di famiglia».
Lo preferisco alla denominazione «medico di medicina generale», perché da per scontato che altri ne seguiranno, di medici: altamente specializzati e implicitamente al servizio del nostro puntiglioso narcisismo di malati. Ho abbandonato anche la definizione «medico condotto» che residua nelle parlate degli anziani che pensano a quel quotidiano eroe della socialità. Oltre tutto, anche la «condotta medica» credo sia sparita dall’ordinamento.

Ma, ecco, il medico è arrivato a destinazione. Una volta si diceva «al capezzale», oggi nessuno azzarderebbe rinunciare alle scettiche semplificazioni linguistiche della modernità. Neanche il paziente impaziente che è stravaccato in poltrona armeggiando col telefonino.
E comincia la puntuale procedura: le domande, il racconto che lui, da medico coscienzioso, aggiunge all’anamnesi che ricorda nella sua amichevole memoria. Poi comincia la visita meticolosa, la palpazione, l’auscultazione, il rituale dei respiri e dei colpi di tosse, il trentatré, eccetera eccetera.
E il dottore medita, riflette, bofonchia. Prende tempo. Sorride. E, quando sorride, cambia i tempi del suo fare e del suo muoversi: si lava le mani e non «se ne lava le mani», (in molti, ancora, trovano sensata la citazione e la metafora connessa), si affretta con gesti spediti e sicuri, rassetta membra e organi, ripone ferri e strumenti, chiude astucci e valigetta. Respira. Poi sentenzia. E scrive la ricetta.

E lì, a quel punto, arriva, nel malato vero la liberazione e il solluchero voluttuoso dell’ipocondriaco deluso. Il malato vero, rassicurato, rifiata, ascolta e pondera. Addirittura, sorride, commosso. Rivestendosi, medita buonissimi proponimenti e guarda finalmente con rasserenata gratitudine il medico che sentenzia che non si tratta del «fuoco di Sant’Antonio», ma di un semplice eczema. Diciamo la verità: in cuor nostro, pensiamo che sia merito suo del nostro fidato medico di famiglia, se non è il Fuoco di Sant’Antonio, abbiamo fatto bene ad insistere perché venisse.
Per l’ipocondriaco è diverso: è colpa sua, del dottore, sospetta nel borbottio del pensiero, se non è il Fuoco di Sant’Antonio.

Che antipatico questo medico! Adesso, lo liquida con un grazie frettoloso e incredulo e, appena sarà uscito, chiamerà un altro dottore e ricomincerà la minuziosa autocelebrazione di quell’«io» cupido di ossessive attenzioni. Mica ci vorremo accontentare del primo parere. Noi ipocondriaci militanti tanto diciamo, facciamo e ci lamentiamo finché non troviamo un luminare che ci dà retta, squadernando un serio e rigoroso pessimismo. Magari chiameremo un medico che è il cognato dell’avvocato che cura gli interessi dei vicini di casa che è un po’ più giovane del nostro bravissimo e paziente medico di medicina generale e non sorride troppo. E poi è ambizioso. Ma è tardi, è domenica, il dottore abita all’altro capo della città. L’ipocondriaco, spietato telefona. Intanto il prurito sta passando. Ma non c’è da fidarsi. Può essere un effetto placebo. Gli ipocondriaci sono espertissimi.
Nell’attesa della visita il nostro ipocondriaco guarda la televisione. Su Rai Tre c’è Elisir. E lui cambia canale. All’ipocondriaco non piace: quelli lì sono troppo rassicuranti.

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