È facile riconoscere nelle nostre strade i turisti che arrivano dal Nord Italia. Sono le uniche persone che indossano la mascherina anche all’aperto, anche di giorno e con 30 gradi. Noi, che l’epidemia da queste parti l’abbiamo vista al massimo in televisione, probabilmente ce ne siamo già scordati. Loro, che hanno avuto i morti per strada, sanno invece che cosa si rischia a non fare attenzione: dovremmo prendere esempio e invece gli ridiamo dietro.
L’altra sera, bar centrale di Castellaneta Marina, tavolini ammassati come se niente fosse, personale – ragazzini – senza mascherina, musica a palla. Controlli, naturalmente, nemmeno a parlarne nonostante i Vigili urbani siano lì a due passi. L’unico distanziamento visibile era quello tra le bottiglie di birra. La gente lo sa, e se ne rende pure conto, che così non va bene. E mica sono tutti adolescenti. Ci si da di gomito, ammiccando, «tanto qui il virus non arriva», e via come se niente fosse. Chi arriva da fuori ci guarda sconcertato, per non dire incredulo: possibile che questi non capiscano?
Probabilmente no, continuiamo a non rendercene conto. Non vogliamo capire che tre mesi di lockdown non sono stati una specie di scherzo ma l’unico espediente conosciuto dalla scienza per comprimere la curva dell’epidemia ed evitare che gli ospedali scoppiassero sotto il peso dei ricoveri. E non teniamo in debito conto la fortuna che abbiamo avuto, noi del Sud: se il primo focolaio fosse scoppiato qui, anziché lassù, oggi Bergamo saremmo noi. Altro che aperitivi sul mare.
Ecco perché in questa storia non c’è da scherzare. Gli esperti ci hanno spiegato che il Covid non si trasmette per un contatto breve, ma l’esposizione a una persona infetta è tanto più rischiosa quando è prolungata: ecco perché serve la mascherina non tanto quando si cammina per strada, quanto nei luoghi chiusi o anche quando ci si trova in un posto (troppo) affollato. Quello che si chiama principio di precauzione è, in realtà, un sistema di autodifesa: una sola persona malata in un gruppo numeroso è un fiammifero acceso che nessuno vede. E se quel fiammifero per caso siamo noi, l’unico modo di difendere gli altri è indossare la mascherina.
Se si chiede a un esperto, a partire dal nostro professor Pier Luigi Lopalco, se l’epidemia passerà, la risposta è che tutte le epidemia passano. E se gli si chiede cosa accadrà in una possibile seconda ondata, la spiegazione è che di norma è meno grave della prima. Nel senso che i contagi sono più spalmati nel tempo e meno concentrati: questo anche perché ormai la sanità pubblica ha imparato a gestirli e anzi, in alcuni casi, sta facendo un grande lavoro. Ma tutti gli epidemiologi sono concordi nel ritenere molto probabile un ritorno dell’epidemia: il punto oggi non è «se», ma «quando». A fine mese, a inizio settembre, più avanti. L’epidemia si controlla interrompendo le catene di contagio, cioè facendo in modo che il virus non si trasmetta più, ed in questo meccanismo hanno una parte importante anche i cittadini perché osservare le regole è fondamentale. Questo chi vive nelle città del Nord lo ha compreso meglio di noi, magari perché mentre indossa la mascherina pensa a qualche parente che non c’è più. Ora è decisamente il momento di stare attenti. Mettiamo la mascherina tutte le volte che serve, e se in un posto c’è troppa gente andiamocene via. Meglio coprirsi il naso al tavolino di un bar che passare tre settimane in isolamento a casa, a guardare il sole attraverso i vetri.