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Se il Sud Italia corre assai meno del Sud Europa (Spagna, Grecia)

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Se il Sud Italia corre assai meno del Sud Europa (Spagna, Grecia)

Lentezza decisionale, bassa capacità produttiva, strapotere burocratico, gattopardismo politico, pressioni illegali: erano il minimo comune denominatore di molte aree e nazioni del Sud Europa

Domenica 04 Agosto 2019, 15:09

È opinione generale. Chiunque torni dalla Grecia racconta di un Paese che si è svegliato, che si è rimesso in cammino e che non corre alcun rischio di uscire dall’Europa come si temeva solo pochi anni addietro. Il turismo ellenico sta inanellando ottimi numeri, l’accoglienza è migliorata assai, e diversamente da quanto si verifica nei ristoranti italiani, i camerieri di Atene sanno esprimersi tutti in un inglese decente. Certo, il coraggioso Alexis Tsipras ha pagato a caro prezzo il sì a un programma di rigore che ha tagliato gli sprechi, ma anche gli stipendi dei lavoratori. Tuttavia Tsipras verrà presto rivalutato e risarcito. E a maggior ragione lo farà la Storia, che lo incoronerà come il Salvatore della Grecia. L’ex premier greco, del resto, non deve dolersi più di tanto per aver ceduto lo scettro del governo (al liberale Kyriakos Mitsotakis), dal momento che è in ottima compagnia. Non sarà il primo, né l’ultimo, a patire in patria, in prima persona, in cabina elettorale, l’adozione di misure lacrime e sangue per salvare la nazione. Anche Winston Churchill (1874-1965), il vincitore della Seconda Guerra mondiale, venne messo alla porta dai suoi connazionali proprio all’indomani della vittoria sul demonio hitleriano. Il popolo di Sua Maestà gli manifestò gratitudine per avergli risparmiato la sottomissione al nazismo, ma non gli ridiede sùbito fiducia (gliela ridarà nella legislatura successiva) nel timore di dover affrontare un secondo round di privazioni indicibili.

Anche il Portogallo dà segni di profonda vitalità. Non corre alla velocità del suo mito Cristiano Ronaldo, ma corre assai più dell’Italia, che o sta ferma, o arretra, o giochicchia. Per non parlare della Spagna che fino a pochi lustri fa pareva ancora una bella addormentata, una nazione decisamente al di sotto delle proprie potenzialità di sviluppo.
Oggi tutte queste realtà del Mediterraneo dànno punti all’Italia e in particolare al Mezzogiorno, fanalino di coda, sul piano della crescita, nell’intero Continente.
E pensare che fino all’altro ieri Spagna e Portogallo somigliavano parecchio, nella bassa crescita, alla Bassa Italia.

Lentezza decisionale, bassa capacità produttiva, strapotere burocratico, gattopardismo politico, pressioni illegali: erano il minimo comune denominatore di molte aree e nazioni del Sud Europa.
Adesso anche questo Sud Europa viaggia a due velocità: bene Spagna, Portogallo e Grecia, male il Mezzogiorno d’Italia. Ma se Spagna, Portogallo e Grecia, stanno accelerando il corsa, l’Italia arranca come certe Topolino anni Cinquanta che in salita andavano in fumo. È tutta l’Italia, non solo il Sud, a perdere fiato, segno che, nonostante le differenze tra Settentrione e Meridione, il problema della decrescita è sistemico, oltre che nazionale, e non si risolve certo con palliativi assistenziali.
Tra l’altro, l’Italia, a differenza delle tre nazioni di cui sopra, non dispone di un quadro politico ordinato e in linea con le tradizionali famiglie ideologiche europee. Il che complica parecchio la convergenza su progetti e programmi politici coerenti, logici, lineari.

La Grecia, sul piano della rappresentanza politica, si rifà ai filoni politico-culturali tipici dell’Occidente. Il suo bipolarismo non è diverso da quello tedesco, fondato sulla competizione tra riformisti e moderati. Anche Spagna e Portogallo non si allontanano molto dal mercato delle idee del secolo scorso, a differenza dell’Italia dove tutto è confuso e aleatorio, e dove il combinato disposto tra populismo e nazionalismo non agevola certo la stesura di programmi compatibili con le direttive europee.
Lo scontro con Bruxelles deriva innanzitutto dal fatto che le nuove produzioni politiche made in Italy non sono integrabili con le due o tre biblioteche di pensiero che hanno indirizzato la vita delle democrazie europee negli ultimi 70 anni. Non è un problema fittizio. Se viene meno il linguaggio comune, salta anche quella visione condivisa che se costituisce la premessa di successo per ogni azienda industriale, assai più rappresenta il lievito per la crescita economica di ogni comunità.
Non si può navigare a vista. Né si può procedere sfidando mezzo mondo. A un certo punto bisogna fermarsi e fare il punto, domandandosi qual è la strada migliore per raggiungere la sospirata ripresa economica.

Oggi l’Italia resta l’osservata speciale numero uno dell’intera Europa. Sono soprattutto i conti pubblici dello Stivale a tenere alta l’attenzione degli esaminatori di Bruxelles. Finora tutto ok: l’Italia ha sempre onorato le sue cambiali, non ha mai girato la propria giacchetta, non si è mai fatta prendere dalla tentazione di ripudiare il debito pubblico. Ma cosa accadrebbe, ad esempio, se si scoprisse che alcuni dati sulla nostra economia sono stati modificati ad arte per evitare le «rappresaglie» di Bruxelles? Sarebbe il replay del recente pianto greco, la cui tragedia, con relativa incursione da parte della speculazione internazionale, ebbe inizio proprio a causa della manipolazione di alcune cifre inviate da Atene a Bruxelles. Ovviamente stiamo avanzando ipotesi del terzo tipo, dell’irrealtà, ma con i numeri non si sa mai. La tentazione di giocarci sopra può rivelarsi, a volte, più irresistibile di una vacanza con Diletta Leotta.

Sta di fatto che l’Italia è ferma, il che in economia significa decrescere, dal momento che tutti gli altri partner stanno collezionando discreti progressi.
L’Italia (e il Sud soprattutto) non cresce perché non ha fiducia in se stessa, tanto è vero che mette al mondo pochi figli. Si dice: come si fa a generare eredi quando l’odierna situazione economica scoraggerebbe il più accanito tra gli ottimisti? È vero, la condizione generale scoraggia l’investimento principale sul futuro (assicurarsi una linea discendente). Ma anche nella prima metà del secolo scorso la situazione era disastrosa, tra guerre militari esterne e guerre civili interne. Eppure non si registrò alcun calo demografico, anzi mai come allora le case si affollarono di neonati. A dimostrazione che il Fattore Fiducia non sempre è un’emanazione dell’estratto conto in banca o del patrimonio familiare.

Forse servirebbe davvero uno choc per dare la scossa agli italiani, ma non è detto che questo choc debba rivelarsi salutare. Forse i problemi sono così gravi che non si saprebbe da dove cominciare. Intanto si potrebbe ripartire mutuando la voglia di fare di Spagna, Grecia e Portogallo, che fino a ieri stavano anche peggio del Sud Italia. Ma la subcultura del no, temiamo, continuerà a bloccare il nostro aggancio al Mediterraneo, figurarsi all’Europa.

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