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Tra spifferi e correnti terzo potere senza bussola

 
Sergio Lorusso

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Sergio Lorusso

Tra spifferi e correnti terzo potere senza bussola

La magistratura ha fatto harakiri. Dove non sono riusciti nel corso degli anni Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e tanti altri, con le loro accuse di “giustizia ad orologeria”, è riuscito il CSM

Mercoledì 19 Giugno 2019, 15:12

E così la magistratura ha fatto harakiri. Dove non sono riusciti nel corso degli anni Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e tanti altri, con le loro accuse di “giustizia ad orologeria”, è riuscito il CSM – custode dell’autonomia e dell’indipendenza di giudici e pubblici ministeri – disarticolando il terzo potere dello Stato e svelandone impietosamente giochi di potere e trattative la cui merce di scambio sono gli incarichi apicali dei vari uffici giudiziari, con la fattiva collaborazione di esponenti politici (alcuni dei quali in “conflitto di interessi” per essere indagati da quelle procure di cui occorre individuare i capi).

Un fenomeno di autoconsunzione di un’istituzione che a partire da Mani pulite ha conservato la leadership nel sentire sociale come antidoto alle nefandezze della politica, alla corruzione endemica della classe dirigente e, in definitiva, alla loro debolezza. Sentire nelle intercettazioni che tra indaganti e indagati vi fosse un “tavolo di concertazione” sulle nomine è a dir poco scioccante. Chi conosce le reali dinamiche del CSM è un po’ meno stupito (escludendo le presunte dazioni di denaro e le incursioni dei politici), perché tutto ciò è la naturale conseguenza della strutturazione dell’ANM in correnti, che la dominano così come governano di fatto il CSM.

Nate per rappresentare differenti orientamenti di pensiero (nel congresso di Gardone del 1965 dell’ANM), e dunque riferibili a forze politiche di destra, centro o sinistra, con il tramonto della dimensione ideologica di quest’ultime si sono trasformate in comitati d’affari il cui unico compito è, per l’appunto, la gestione dell’attribuzione degli incarichi. Con criteri che hanno a che fare con tutto tranne che con il merito. Non dimentichiamo, del resto, che i più acerrimi nemici di Giovanni Falcone prima della sua postuma beatificazione, i suoi più spietati detrattori, gli occulti delatori, furono proprio i colleghi magistrati e, in particolare, quelli che sedevano sugli scranni del CSM (definiti “Giuda” da Paolo Borsellino): emblematiche le vicende della nomina a Procuratore della Repubblica di Palermo (1988) e a Superprocuratore antimafia (1992), la cui istituzione fu avversata con tanto di sciopero dall’ANM.
Come dire, niente di nuovo sotto il sole.
Questo non vuol dire, naturalmente, che tutti i magistrati siano privi di rettitudine e di moralità. Alcuni, fuori dal giro associativo e delle correnti, sol per questo si vedono preclusi – nonostante i loro meriti e le loro qualità – l’accesso alle posizioni più elevate e prestigiose. Molti, loro malgrado, sono costretti ad arrendersi a questo meccanismo abnorme e distorto per vedere soddisfatte le loro legittime aspirazioni.
Il vizio, insomma, è strutturale.

Non è sostituendo il Presidente dell’ANM, reo di far parte della corrente nell’occhio del ciclone, o indicendo le elezioni per la sostituzione dei componenti del CSM coinvolti nella vicenda, che la questione potrà essere risolta. Vedremo se la convocazione del plenum dell’organo di autogoverno per venerdì prossimo sarà l’occasione per ascoltare parole nette e dure da parte di Sergio Mattarella.
Quali i rimedi?

Si potrebbe ridisegnare la geografia del CSM, attribuendo al Presidente della Repubblica il potere di nominare un terzo dei suoi componenti (come accade per la Corte costituzionale). Ne uscirebbe rafforzato il ruolo del Capo dello Stato, che nel CSM è presente in funzione di garanzia, e correlativamente ridimensionato quello dei magistrati (che non avrebbero più la maggioranza), con evidenti ricadute in termini di autoreferenzialità e di difesa degli interessi corporativi. Certo, potrebbe eccepire qualcuno, in presenza di un Presidente interventista – alla Cossiga, per intenderci – ciò potrebbe essere pericoloso.

C’è poi l’ipotesi sorteggio per le nomine dei vertici, sulla base di una rosa predeterminata con criteri di merito. Soluzione sulla carta molto interessante, sempre che la prima fase si svolga utilizzando effettivamente tali criteri e non sia nelle mani delle famigerate correnti. In quest’ultimo caso il rischio di mercanteggiamenti – ferma restando l’alea dell’estrazione a sorte – risulterebbe attenuato ma non escluso del tutto. Inutile dire che, come sempre accade, è anche questione di uomini, piuttosto che di regole. Il CSM, in fondo, è un organo “politico” – nell’accezione alta del termine – e compie pertanto scelte che sono il frutto di maggioranze costruite a seguito di intese. Non a caso, nel linguaggio corrente il direttivo dell’ANM, il cui peso sulle decisioni del CSM è determinante, viene definito il “parlamentino” dei giudici.

Sta di fatto che una magistratura attraversata da spifferi e correnti non fa bene al Paese, lede la credibilità di un potere cui ci si è affidati – forse in maniera eccessivamente fideistica – per oltre un quarto di secolo. Vedere le toghe alla deriva, travolte da una tormenta al momento inarrestabile che in pochi avrebbero potuto prevedere, genera sfiducia e preoccupazione. Se l’Italia fosse riuscita a realizzare un vero bilanciamento tra i poteri, quel sistema di pesi e contrappesi che è l’abc della democrazia, tutto questo probabilmente non sarebbe successo. E mai avremmo potuto sentire un politico contrattare la propria immunità con la scelta del capo della più importante procura del Paese.

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