Mantenimento dell’ex coniuge, arriva «l’ultima parola», ma forse no. Andiamo con ordine. In principio fu Veronica, parliamo naturalmente della Lario, la seconda ex consorte di Silvio Berlusconi. È stato il mega assegno divorzile che doveva pagarle il magnate televisivo a innescare la bufera. In breve: perché pagare un assegno mensile a sei zero a una ex moglie che nulla, nella sostanza, ha fatto per accrescere il patrimonio familiare. Possono bastare i parametri del mantenimento del tenore di vita e l’impegno profuso per la cura e l’educazione dei figli a giustificare tanta pecunia? Per decenni il coniuge economicamente dominante, in passato era quasi sempre l’uomo, ha subito l’assalto congiunto di ex mogli, avvocati di lei e, pure, giudici. Sentenze salasso che, più che ispirate a un principio di equità, sembravano rifarsi a un principio di punizione.
Mariti che di punto in bianco, a matrimonio finito, si ritrovavano nella drammatica veste di nuovi poveri: via la casa, via buona parte dello stipendio e un tetto nuovo da cercare. Il tutto con esiti a volte tragici. Una Caporetto economica che ha messo sul lastrico tanti ex mariti e, di fatto, ha indotto molti, ad entrare nella categoria dei «separati in casa», gli impossibilitati economicamente a dire la parola fine al matrimonio. Poi i tempi, sia pure adagio adagio, sono cambiati, e il principio ispiratore dei giudici si è andato evolvendo con assegni meno capestro e lodevoli sollecitazioni al coniuge assistito a cercarsi un lavoro. Nel frattempo, il più debole dei due, a volte, era diventato il marito. Poi il caso Lario-Berlusconi che ha portato alla ribalta il problema che, per i comuni mortali, era invece solo un brusio soffocato e inascoltato.
Ma la svolta è arrivata con il cosiddetto caso Grilli. La sentenza dell’11 maggio 2017 della prima sezione della Cassazione sul divorzio fra l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli e Lisa Caryl Loweinstein. Secondo quella sentenza, basata sul principio dell’autoresponsabilità, l’assegno non va più calcolato sulla base dello stile di vita avuto durante il matrimonio, ma sullla base dell’autosufficienza dell’ex coniuge. In sostanza, secondo i giudici: «Si deve superare la concezione patrimonialista del matrimonio inteso come sistemazione definitiva». Una decisione salutata trionfalmente dagli ex coniugi «pagatori» e con estrema mestizia dai «beneficiati». Ma come tutti sanno ogni sentenza fa storia a sé e può essercene il giorno dopo un’altra che afferma esattamente il contrario. Anche in Cassazione è accaduto più volte. Urgeva quindi una sentenza a sezioni unite che facesse chiarezza e diventasse un parametro di riferimento.
Questa sentenza è arrivata ma, almeno a un primo sguardo, non fa particolare chiarezza, tanto che c’è chi sostiene che è un passo indietro rispetto alla sentenza Grillo e c’è, al contrario, chi sostiene che la conferma «in toto». La sentenza delle sezioni unite (numero 18287) afferma: «Si deve adottare un criterio composito che tenga conto delle rispettive condizioni economico patrimoniali e dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge al patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed alle età». La decisione aggiunge che all’assegno deve attribuirsi una funzione «assistenziale, compensativa e perequativa». Il criterio individuato, aggiunge la sentenza, si fonda «sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo». «Lo scioglimento del vincolo - afffermano ancora i giudici - incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare».
In conclusione «l’adeguatezza dei mezzi deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare».
Un commento a caldo? Su un tema così serio e delicato bisognerebbe andare con i piedi di piombo. Ma, a volersi sbilanciare, ci sembra il classico «colpo al cerchio e colpo alla botte». In pratica il principio di riferimento è così «generale» che difficilmente potrà cambiare qualcosa. Tutto resterà a discrezione del giudice di turno, Difatti, c’è già chi chiede un intervento, anche questo «risolutivo», del legislatore. E siamo punto e a capo.