Sabato 06 Settembre 2025 | 09:15

La rivoluzione dell’AI al servizio del pianeta

 
alessandro miani

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alessandro miani

L’intelligenza artificiale? Regolamentiamola, o sarà lei a «regolare» noi

Per vincere la sfida serve una cultura che interpreti le nuove frontiere promuovendo il bene comune

Venerdì 27 Giugno 2025, 14:37

C’è un filo sottile, e sempre più forte, che collega il progresso tecnologico con il benessere del pianeta e delle persone. È il filo dell’intelligenza artificiale, che oggi non è più solo l’emblema della quarta rivoluzione industriale, ma si configura come una risorsa cruciale per costruire un modello di sviluppo capace di durare nel tempo e includere tutti.

Le aziende lo stanno comprendendo: implementare soluzioni basate su AI non è solo una scelta di efficienza o competitività, ma un atto di responsabilità verso l’ambiente, la salute collettiva e la coesione sociale. In un contesto globale segnato da crisi climatiche, disuguaglianze crescenti e sistemi sanitari sotto pressione, la sostenibilità non è più una voce di bilancio accessoria o una buona pratica da raccontare nel report annuale. È una necessità. E l’AI può esserne acceleratore potente, se guidata da principi etici e da una visione olistica. Come ha sottolineato Andrea Battistoni, esperto in politiche pubbliche e sostenibilità, «l’AI non è solo una leva tecnica, ma una provocazione politica globale», che ci impone di ripensare strumenti, politiche e scelte di sviluppo alla luce del bene comune. Per le imprese, questo significa poter analizzare in tempo reale i propri impatti ambientali, ottimizzare l’uso delle risorse, ridurre gli sprechi lungo tutta la filiera. L’intelligenza artificiale può monitorare le emissioni, prevedere i picchi di consumo, consigliare scelte operative più sostenibili. Ma può fare molto di più.

Può, ad esempio, incrociare dati ambientali con dati epidemiologici e socioeconomici, per suggerire soluzioni che non solo riducano l’impatto ecologico, ma migliorino anche la qualità della vita nei territori in cui l’azienda opera. In questo senso, la sostenibilità aziendale diventa sostenibilità condivisa. Uno degli ambiti più promettenti è quello dell’urbanizzazione e della rigenerazione urbana. Le AI al servizio di smart city possono aiutare le amministrazioni pubbliche a progettare quartieri più verdi, accessibili, efficienti dal punto di vista energetico. Ma è fondamentale che il privato faccia la sua parte. L’impresa sostenibile oggi non può limitarsi a misurare la propria carbon footprint: deve contribuire attivamente alla salute dei territori. Le tecnologie predittive, ad esempio, permettono di identificare le correlazioni tra inquinamento, stress termico e malattie croniche, e quindi di orientare scelte logistiche, produttive e distributive in modo da ridurre i rischi per la popolazione. Non è utopia, è già realtà. Alcune aziende stanno integrando algoritmi AI per monitorare la biodiversità nei territori limitrofi ai propri stabilimenti, valutando in tempo reale le conseguenze delle attività produttive sulla fauna e sulla flora locali.

Altre ancora utilizzano l’AI per disegnare modelli predittivi di economia circolare, che consentano non solo di riciclare, ma di rigenerare: materiali, energie, relazioni. L’AI può anche generare nuove metriche di valutazione dell’impatto sociale ed ecologico, superando la tradizionale logica del profitto a breve termine. Ed è proprio in questo passaggio che si gioca la partita più importante: passare da una sostenibilità raccontata a una sostenibilità misurata e condivisa. La tecnologia da sola non basta. Serve una cultura che sappia interpretarla in chiave generativa, al servizio del bene comune. Ma la tecnologia da sola non basta. È necessario - come ricorda Battistoni citando l’enciclica Laudato Si’, un cambio di paradigma culturale che riporti l’uomo al centro come custode del creato, non sfruttatore.

L’adozione di soluzioni AI deve essere accompagnata da una visione che coniughi sostenibilità ambientale, giustizia sociale e innovazione economica. Le aziende che abbracciano questo paradigma sono quelle che investono nella formazione interna, costruiscono alleanze con enti di ricerca, dialogano con i territori. Non si tratta solo di «fare greenwashing» con l’AI, ma di usare la potenza dei dati per ascoltare, prevedere, curare. In fondo, la vera intelligenza, artificiale o umana, si misura nella capacità di prendersi cura della vita, non solo del bilancio. Siamo solo all’inizio di questa trasformazione. Ma il potenziale è immenso. In un mondo sempre più interconnesso e vulnerabile, l’intelligenza artificiale può diventare il cuore di un nuovo patto tra economia e società.

Un patto che ha il coraggio di mettere al centro non solo gli obiettivi aziendali, ma il futuro collettivo. Un’intelligenza, finalmente, al servizio della terra e di chi la abita.

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