Si torna in acqua domani per l’ultima fase eliminatoria della Louis Vuitton Cup di vela. Dopo aver battuto American Magic per 5-3 nelle semifinali delle selezioni challenger, il team di Luna Rossa Prada Pirelli affronterà Ineos Britannia. Una finale che arriva dopo momenti di grande difficoltà vissuti dal team italiano che ha però dimostrato di saper tenere a bada le preoccupazioni e le brutte sensazioni riuscendo a conquistare il punto decisivo che lo ha portato dritto in finale. Per commentare quello che è successo chiamiamo in causa chi di vela e di psicologia se ne intende: Roberto Ferrarese, barese, velista del CV Bari da sempre, con una lunga carriera ai vertici delle classi olimpiche, olimpionico a Mosca nel 1980, pre-olimpionico a Los Angeles e Seoul e tecnico federale ai Giochi Olimpici di Londra, Ferrarese ha all’attivo anche tre Campagne di Coppa America (con Italia nel 1987 in Australia, con il Moro di Venezia nel 1992 in California e con +39 in Spagna nel 2007), ed è considerato tra i migliori al mondo nella specialità del match race (formula Coppa America). Oggi è psicologo e si occupa di progetti di team building.
Ferrarese, cosa pensa delle difficoltà che Luna Rossa Prada Pirelli ha dovuto affrontare in questa prima fase di regate?
«Credo che per loro sia stata una grandissima opportunità. Nello sport si usa sempre il “may be”. Gli americani lo usano sempre. Il fatto che sono arrivati secondi e hanno dovuto combattere per la finale ha consentito loro di acquisire più dati. Hanno avuto intoppi che ora hanno già risolto e hanno fatto esperienza sul campo. Hanno imparato a stare meglio sui foil quando ci sono onda e vento. Aver regatato di più e con un avversario più forte di Alinghi ha fatto solo bene al team italiano. È diventato più resiliente. Vincendo così si sono rinforzati, hanno dimostrato di avere uno short team forte, di essere coesi. Visti da fuori sembra che siano più forti. Potrebbe essere la volta buona che si riesce a battere il team New Zealand».
Cosa ha fatto sì che tutto funzionasse?
«In psicologia si usa spesso la metafora del saggio contadino cinese. Non la racconto perché sarebbe troppo lunga, ma vi invito a cercarla. L’insegnamento che se ne trae però è molto semplice. E molto importante: imparare a guardare oltre il presente, senza anticipare le conseguenze. In altre parole non è possibile sapere cosa succederà domani, per cui dobbiamo imparare a sospendere il giudizio. Luna Rossa ha adottato questa tecnica e ha evitato di farsi travolgere dagli eventi cercando sempre un risvolto positivo o almeno neutro. Ed è servito».
Un lavoro di squadra, dunque?
Esattamente. Ma anche il riuscire a guardare in positivo. Spithill e Bruni sono molto forti e si appoggiano a vicenda. Fanno molto gioco di squadra, che è un bene prezioso sempre, a maggior ragione quando si hanno delle difficoltà. Bruni sentiva molto la responsabilità degli errori, se così vogliamo definirli, si è alleggerito di queste sensazioni grazie alla squadra ed è riuscito ad affrontare i momenti di maggior pressione più agilmente. La reazione è venuta quindi da sé. In questo hanno fatto un ottimo lavoro, al pari di New Zealand. Loro sono sempre stati preparatissimi ad essere una squadra e ad affrontare le difficoltà, anche mentali, insieme. Ora lo siamo anche noi».
Lasciamo l’aspetto psicologico. Parliamo delle regate in sé. Cosa ne pensa di questa nuova “formula”?
«Sembra di guardare una partita a flipper. È bello da vedere per 10 minuti, ma … a me, come a molti, manca la Coppa America di una volta: i cambi di vela, le facce delle persone, i rumori dei winch. Ora è solo un volare. Anche per chi commenta è difficile trovare spunti. Pure il pubblico non sembra gradire tantissimo. Le regate dei giovani o delle donne, in flotta, sono molto più divertenti. Anche la Sail Gp è più divertente. È vero che volano, ma almeno sono in flotta. C’è più agonismo. In questa Coppa America manca il contatto uomo-uomo. Io dico sì all’innovazione, ci mancherebbe, ma queste barche così veloci non sono adatte al match race. È come se a Wimbledon dicessero che non usano più le racchette ma cannoncini. Bisogna trovare una via di mezzo».
Come si è arrivati a questo punto?
«Sicuramente avere barche volanti è spettacolare. E dopo la prima volta si è proseguito su questa strada anche perché chi vince ha sempre un vantaggio tecnologico e competitivo rispetto agli altri. Tuttavia va detto che non c’è grande interesse nel mondo per questo tipo di barche. A Valencia nel 2007 c’erano 13 team con 17 velisti su ogni imbarcazione. Quest’anno sono cinque, quattro in realtà con un totale di 24 velisti. Secondo me si tornerà indietro. C’è una frenesia per il volo, anche ai Giochi Olimpici, ma va ridimensionata. Non vanno trascurate le barche tradizionali. Sono altre sensazioni. La percezione della barca con la pancia, le vele, il vento. È tutto un altro mondo. Così è uno scatto e via. Con barche evolute tipo TP52 sarebbe diverso, tutti vicini».
Come vede lo scontro con Ineos Britannia?
«Prevedo una dura battaglia. Il mio pronostico è di 5-3 per Luna Rossa».
E poi?
«New Zealand ha un senso della squadra mostruoso, dinamiche che vanno oltre. Non dipende dai talenti del momento ma dalla squadra che funziona. Non sappiamo quanto hanno bluffato fino ad ora, potrebbero avere un vantaggio tecnologico, ma sappiamo che entrambi i team sono molto forti. Luna Rossa ha sofferto un po’ in questa prima fase, anche perché ha trovato meno vento e onda. Ma questo potrebbe essere un vantaggio rispetto a New Zealand. Qualcosa avranno capito stando in acqua più tempo rispetto a New Zealand. Io ho una percezione buona. Se vince l’Italia cercheremo di cambiare le barche».
Dove sarà per la finale?
«Il 10 ottobre prossimo sarò a Barcellona per godermi le regate dal vivo in mare. In ogni caso una finale non si può mai perdere».