Maschere, rock e poesia: il Salento si prepara ad accogliere i Tre Allegri Ragazzi Morti, che domani sera, 28 giugno, saranno protagonisti del SEI Festival a Corigliano d’Otranto. Il trio composto da Davide Toffolo, Enrico Molteni e Luca Masseroni, icone del rock alternativo italiano, mascherati, liberi e più vivi che mai, continua a portare avanti il tour celebrativo dei 30 anni di carriera, partito con l’uscita dell’ultimo disco «Garage Pordenone», seguito da «Garage dub», con i brani in versione dub a cura di Paolo Baldini DubFiles. Inoltre durante alcune date sarà possibile ammirare le TARM Fan Art, una collezione di opere nate dall’amore dei fan nei confronti della band che ha fatto del fumetto e dell’immagine un elemento distintivo.
Molteni, partiamo proprio da questo immaginario visivo che vi caratterizza: come ha contribuito a stringere il rapporto con i fan?
«È merito di Davide (Toffolo, ndr.) che dalle storie a fumetti ha dato vita alle canzoni e ha tirato dentro tanta gente appassionata, addirittura oggi si fanno i tatuaggi con i nostri disegni, ci portano le loro opere, casa di Davide ne è piena».
E questo pubblico, visto che siete una band di culto che parla a generazioni diverse, oggi da chi è composto?
«Per tantissimi anni si rinnovava sempre, i giovani continuavano ad affollare le nostre platee, sommandosi ovviamente alle generazioni più adulte, quelle cresciute con noi. Oggi ci sono tante famiglie, chi ci seguiva ha continuato a farlo e si porta dietro i figli. È cambiato il contesto, ma cerchiamo sempre di mantenere il nostro modo di essere “strani”, dar voce a qualcosa che non trova spazio, e i più giovani lo notano».
I giovani sono un argomento che vi sta molto a cuore...
«Oggi sono imprevedibili: alcuni rinunciano allo smartphone, vanno ai concerti hardcore, sono più attenti e sembrano rifiutare un po’ tutta questa ondata in cui siamo immersi, nella tecnologia, nelle cose troppo facili. Spero siano proprio loro a ridefinire i limiti di questo periodo storico con i loro gusti musicali, alcuni sono bravi e non hanno avuto spinte da fuori ma hanno trovato una speranza. Da ragazzino a scuola ero il solo ad ascoltare i Cure, mentre andava di moda Biagio Antonacci, per fare un esempio. Sono ottimista, crescendo ho poi capito che i “buoni” avrebbero vinto».
Tra l’altro nel 2000 avete fondato La Tempesta, etichetta diventata un punto di riferimento per l’indie italiano: che opinione avete di come viene fruita la musica oggi?
«La situazione forse è sfuggita un po’ di mano: la musica si recupera facilmente, anche quella vecchia, ma a volte è difficile orientarsi, c’è troppo materiale. Da ragazzino prendevo un disco al mese, lo analizzavo, traducevo i testi con il vocabolario, oggi mi rendo conto che è difficile ascoltare un intero album più di una volta. Però c’è sempre chi ha voglia di approfondire, come di suonare dal vivo, e non salendo sul palco con una chiavetta Usb e le basi pronte».
Nel tempo avete toccato generi molto diversi: dal punk al reggae, fino allo swing. Quanto è importante per voi contaminare?
«Ognuno di noi è nato con i suoi dischi e le sue passioni, poi crescendo e suonando tanto ci siamo aperti a molte cose che da giovani non ci appartenevano. Per esempio il nostro disco reggae: alcuni non l’hanno apprezzato, ma in tanti l’hanno capito, erano sempre le nostre canzoni con vestiti più “estivi”. Il fatto che si siano fidati e abbiano continuato a seguirci ci ha dato poi la spinta per sperimentare altre cose, swing, cumbia...».
Dopo tre decenni cosa vi spinge ancora a salire sul palco con la stessa energia di sempre?
«Forse a questo punto i tanti anni ci hanno dato e confermato l’intenzione e la sensazione iniziale: si tratta di qualcosa di esistenziale, che abbiamo sempre pensato di fare, non ci riusciremmo a immaginare senza. Avevamo un’idea di partenza, strutturata, nata in un modo preciso, vicino a noi, che ci appartiene. Le energie da qualche parte si trovano».
La Puglia è una regione che vi ha sempre voluto molto bene...
«È gigantesca. Abbiamo tanti ricordi, in particolare una bellissima ospitalità».
E visto che questo tour è ancora uno strascico della festa dei 30 anni della band, se dovesse racchiudere tutta la vostra carriera in un’immagine?
«Sembrerà piuttosto forte, ma è quella del furgone. Forse non la più bella, ma la più veritiera. Siamo in giro da sempre, ci ha accompagnato a lungo».