Ci sono incontri che lasciano il segno e sono destinati a dare vita a magie. È il caso di Mauro Durante, percussionista, violinista e cantante del Canzoniere Grecanico Salentino, che nel 2011 ha incontrato Justin Adams, chitarrista, produttore e collaboratore storico di Robert Plant. Quella conoscenza, nata durante la Notte della Taranta diretta da Ludovico Einaudi, oltre che a un'ormai consolidata amicizia ha dato vita nel 2021 a «Still Moving», pluripremiato e acclamato dalla critica, a tre anni di tournée in tutto il mondo, e oggi al nuovo «Sweet Release», uscito lo scorso 18 ottobre per Ponderosa Music Records. Una nuova fusione che crea un sound unico, dalla Taranta al rockabilly, passando per rock puro, minimalismo, underground, melodie che sembrano preghiere. Il duo ha registrato l'album in presa diretta, dando vita a momenti di magica improvvisazione, e dal 22 ottobre è partito il tour che toccherà diverse città nel Regno Unito (il 26 saranno a Manchester per uno showcase all'interno del Womex, la principale fiera musicale europea, con il sostegno di Puglia Sounds), per poi spostarsi a novembre in Norvegia, Finlandia e Italia (il 16 novembre già confermata la data a Lecce ai Cantieri Teatrali Koreja). Mauro Durante ha raccontato alla «Gazzetta» qualche retroscena sul progetto e sulla collaborazione con Justin Adams, e definisce il loro approccio molto «pratico».
In che senso?
«Ci sediamo in una stanza e suoniamo. È sempre stato così, dalla prima volta che ci siamo incontrati nel 2011, e io ero il braccio destro di Einaudi per il Concertone di Melpignano. In sala prove prima ancora di parlare, Justin si attaccò all'amplificatore e cominciammo a suonare. A distanza di tanti anni, è quello il nostro modo di lavorare: anche per preparare questo spettacolo dal vivo siamo partiti proprio dall'atto pratico per buttare giù le idee. Poi dopo tre anni in giro a fare concerti, la nostra intesa si è affinata, è stato bello replicare anche in studio il meccanismo dell'improvvisazione dal vivo. Ci intendiamo al volo».
Da quando lei e Justin vi siete conosciuti, si aspettava che sareste finiti a condividere tutto ciò?
«Sicuramente immaginavo che avremmo fatto qualcosa insieme. Sento una sorta di destino negli incontri, ed è un ragionamento che arriva sempre a posteriori. Comunque, quando ci siamo incrociati, sentivo che era scritto. Il rapporto umano lo vivo come un dono, c'è amicizia, ci sono cose indescrivibili, come il riuscire a condividere anche lunghi silenzi».
Com'è suonare insieme a lui?
«Justin ha la grande dote di non essere mai nervoso: ha un bel groove, ma non è quel tipo di chitarrista che deve suonare mille note per far vedere che ha ritmo, anzi ti culla e ti fa danzare. Insieme abbiamo collezionato esperienze intensissime: c'è una bella differenza d'età tra noi, ma dopo la morte di mio padre sento che il nostro rapporto è ancora più stretto».
Parliamo di Still Moving, quali sono state le sue suggestioni e quali quelle di Justin, e come avete messo insieme le idee?
«Tutti i brani sono firmati da entrambi, e questo ci tengo a sottolinearlo perché li lavoriamo insieme. Poi è chiaro che ognuno di noi fa delle proposte, per esempio da me sono arrivate "Leuca" o "Santu Paulu", legate al mondo di pizzica e taranta. Ci sono invece dei momenti in cui la sinergia è totale: su "Aurora" Justin mi ha fatto ascoltare una registrazione all'alba in Rajasthan, India, del muezzin che chiamava alla preghiera, e ricorda proprio la melodia che canto io sul brano, con un testo scritto da me. Quando c'è un'intesa così forte si può spaziare, ci si fida l'uno dell'altro».
Avete girato il mondo, c'è un pubblico in particolare che portate nel cuore?
«Sicuramente abbiamo fatto ascoltare i nostri lavori a tante persone diverse, in New Mexico ci siamo esibiti in una delle prime chiese cristiane, o anche il pubblico del Womex ci incuriosisce molto. Gli spettacoli sono sempre diversi, più catartici, intimi, selvaggi, ma quelli che teniamo nel cassetto sono quelli in cui scatta una magia particolare con chi abbiamo davanti».
E dopo tutto questo giro sarete anche a Lecce: cosa significa per lei essere ambasciatore nel mondo della sua terra?
«Mi sento emozionato e felice, e anche un po' orgoglioso. Ogni tanto mi trovo a riflettere sul senso di quello che faccio, sento come se nella mia risuonassero le voci di chi non c'è più. La musica popolare è tanto legata alla terra: oggi ci sono fraintendimenti quando si parla di tradizione, pensiamo a espressioni come "si è sempre fatto così" per consolidare privilegi ingiusti consolidati nel tempo, ingiustizie, discriminazioni. La tradizione invece è fluida, perché ogni generazione sceglie cosa conservare e tramandare per semplificare la vita. È come se facessimo una staffetta, ci portiamo dietro qualcosa dalle generazioni precedenti e la miglioriamo per il futuro. Sono orgoglioso di vivere di musica raccontando la mia famiglia e la mia terra».