«Un viaggio nella mia testa e nel mio mondo, con le musiche che mi hanno segnata ed emozionata». A parlare è Rachele Bastreghi, cantante, musicista, anima e voce femminile dei Baustelle, che arriva in Puglia per una data speciale, domani sera 27 luglio, con un dj-set a Torre Santa Susanna (Br) nell'ambito del Bembe Music Fest, evento di musica e solidarietà nato per ricordare Nicola Bempensato, scomparso nel 2023, e il cui ricavato va in parte in beneficenza (lo scorso anno è stata fatta una donazione all’ospedale Perrino di Brindisi per le sale trapianto). La «Gazzetta» ha fatto una lunga chiacchierata con Rachele per scoprire qualcosa in più sul suo universo musicale, fatto di riferimenti cinematografici, pop sofisticato e danza liberatoria, e ha provato a raccontare quest'artista interessante e complessa, meno introversa di come viene dipinta.
Come si passa dall'esperienza di palco, a cui è pienamente abituata, a una selezione musicale?
«La prima volta è stata a Torino qualche anno fa, per un'iniziativa della Scuola Holden. È un modo molto diverso di esprimersi, con più leggerezza, anche se io per carattere tendo a essere una che complica, che percorre le strade più difficili. Mi piacciono le cose fatte bene, c'è un lavoro certosino dietro, fino all'ultimo minuto. Immagino gli stati d'animo di queste playlist, le ascolto in orari diversi, immagino di sentirle di notte. In questo contesto sarò dopo i Tre Allegri Ragazzi Morti, e porterò gli ascoltatori in un viaggio con ispirazioni di ogni genere. Colonne sonore ritmate, Stelvio Cipriani che si fonde con i Prodigy, mi piace sperimentare, unire cose molto diverse, archi, percussioni, Patti Smith, voci parlate, Billie Eilish. Metto in comunicazione varie generazioni che sento affini».
Nelle sue playlist del cuore quali canzoni non mancano mai?
«Ci sono mix imprescindibili: ad esempio uno tra i Bee Gees e "Toxic" di Britney Spears, o "Some Velvet Morning" dei Primal Scream trascinata dalle percussioni. Sento cosa provo io così da poterle poi riproporre. Invece da piccola ho cominciato cantando i Matia Bazar, "Mister Mandarino", e ascoltavo Patty Pravo, Battisti, Battiato, ma anche Bach, il punk...».
Compositrice, musicista. Studia ancora?
«È difficile perché sono strafalciona, anche se perfezionista. Ho studiato pianoforte da ragazzina, mi piaceva riproporre le sigle, mi mettevo lì e stavo buona e ferma per un po', ma poi andavo per cavoli miei, senza un metodo. Ho imparato che il talento non basta, ci vuole costanza, disciplina, il lavoro è fatto dalla forza di volontà. Ce ne vuole anche per stare sui social, senza esserne schiavi ma serve un po' di costanza. Il mio pubblico sa che ogni tanto sparisco per un po'».
Con i Baustelle avete raggiunto bei traguardi, poi lei ha pubblicato anche da sola, ha collaborato con altri. C'è qualcosa che rifarebbe diversamente?
«Premettendo che a volte guardando come va il mondo mi sento fuori luogo, succede che ascoltando gli arrangiamenti delle cose che ho fatto mi suonano già datati. Però poi ho riascoltato due mesi fa il mio disco, "Psychodonna", del 2021, e nella sostanza mi ci ritrovo, sono contenta, sono io. Compagnona, ma difficile, a volte mi manca quella parte della comunicazione che per esserci nella discografia di oggi devi avere. Ho provato anche a lavorare come autrice, ma l'ho fatto per Patty Pravo, ad esempio, che ha un vissuto in cui mi sono riconosciuta. In ogni disco ho proposto una cover, ho ripreso "Fatelo con me" di Anna Oxa, "All'inferno insieme a te", proprio di Patty Pravo, che poi mi ha chiamato e mi ha detto che le ho fatto amare un pezzo che non propriamente le piaceva. Io non riesco a lavorare con un progetto a tavolino, continuo a ispirarmi dai modi di vivere e comunicare la musica come fa una Patti Smith. Non vado casualmente, continuo a scegliere».
Chi le piace tra i colleghi della generazione attuale?
«Madame è brava, è centrata».
Con i Baustelle c'è sempre stato equilibrio tra lei e Francesco Bianconi, anche nel rapporto artistico uomo/donna. Negli anni però l'abbiamo vista fiorire, evolversi. Come vede la situazione femminile in questo panorama attuale?
«C'era bisogno che le donne guadagnassero spazio. Si stanno facendo dei passi avanti anche se spesso vedo il mondo andare indietro su questioni su cui non dovrebbero esserci dubbi. I pregiudizi ancora pesano, cadere in certi meccanismi è facile. Io sono timida e un po' strana, ero una donna con una parte maschile, e mi sono resa conto che nella musica da un lato c'è stata diffidenza, dall'altro era figo riconoscere che in un gruppo c'era una presenza femminile. Ho imparato tanto con i Baustelle, sono cambiata come persona, ho imparato a moderare i toni, a rispettare, a rimanere ferma su alcune cose. Francesco è una persona molto seria, abbiamo detto di no a tante cose che ci avrebbero portato visibilità, però d'altro canto oggi abbiamo ancora tanta voglia. Il segreto, forse, è stato quello di non frequentarci al di fuori della vita del gruppo, nel privato».
Oggi nell'attuale formazione dei Baustelle le donne sono ben due, c'è Julie Ant (Giulia Formica), batterista che tra l'altro ha origini pugliesi...
«L'ho aiutata molto, lavorare con una donna più giovane non è facile, ho ricordato le mie difficoltà e lei apprezza. Poi quando si lavora con belle persone e si ragiona sulle cose, c'è un bell'equilibrio».
Insomma, il bilancio totale sembra positivo.
«Oggi sono più pronta a raccontarmi, mi serviva mettermi in gioco, ho anche più dimestichezza in situazioni come le interviste. Scrivo tanto, convivo con me stessa e cerco di migliorarmi. Per il futuro mi auguro di trovare un equilibrio e riuscire sempre a fare quello che voglio, con il coraggio di essere me stessa, senza essere troppo dura».
Un'ultima cosa, visto che chi scrive è fan dei Baustelle dal 2000 e ha seguito sempre con passione questo percorso, personale e artistico. Ci dice quali canzoni, del gruppo o sue, la emozionano particolarmente?
«Se penso all'ultimo tour c'era "Nessuno", che termina con il mio canto lirico: è una sorta di tensione del momento che esce fuori, quasi una liberazione, mi sento molto in comunione con le persone. Poi indubbiamente "L'aeroplano", o "La canzone del parco". Andando avanti si costruiscono arrangiamenti, e quelli degli ultimi live nei teatri rispecchiano esattamente ciò che sono. Invece "Gomma", per esempio, non mi è piaciuta per tanto tempo. Oggi è arrivata a un'interpretazione che mi soddisfa. O forse ci sono arrivata io».