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Quel mondo «oltre» che sa di melodia

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Quel mondo «oltre» che sa di melodia

Lo scrive il sassofonista Roberto Ottaviano nelle note di copertina di Worlds Beyond, seconda opera discografica del bassista barese Antonello Losacco edita dall’etichetta salentina Gleam Records dopo la bella prova d’esordio di «Respira»

Martedì 30 Gennaio 2024, 07:41

«I bassisti hanno una certa facilità di scrittura e molti di loro sono autori intriganti e prolifici». Lo scrive il sassofonista Roberto Ottaviano nelle note di copertina di Worlds Beyond, seconda opera discografica del bassista barese Antonello Losacco edita dall’etichetta salentina Gleam Records dopo la bella prova d’esordio di «Respira». E a voler estendere il pensiero di Ottaviano, verrebbe da aggiungere che tanta facilità nella compositiva vuole probabilmente essere il completamento e il riscatto di un ruolo che spesso vede i bassisti relegati «un passo indietro» rispetto ai consueti strumenti melodici.

Perché nel caso di Losacco è innanzitutto di melodia che si deve parlare, per la sua capacità di far cantare lo strumento con una scioltezza quasi chitarristica anche grazie alla scelta di suonare un basso elettrico a sette corde la cui estensione consente di ottenere sonorità più ampie e soprattutto più chiare. Solista di rango, allora, dalla cantabilità che potrebbe ricordare il grande Steve Swallow, ma anche e soprattutto compositore prolifico, considerato che ben otto dei nove titoli in scaletta sono usciti dalla sua penna.

Altra caratteristica di Worlds Beyond è quindi rappresentata dall’originalità dell’organico prescelto: se infatti nel precedente cd Losacco si era confrontato con un quartetto d’archi, qui lo ascoltiamo in trio con il bel vibrafono di Vitantonio Gasparro e il dinamico accompagnamento di Vito Tenzone alla batteria per una formazione che a tratti potrebbe richiamare alla mente alcuni gruppi di o con Gary Burton. Al trio si aggiungono poi in alcuni brani il sax soprano di Roberto Ottaviano – che di Losacco è stato docente e mentore nella Scuola di Jazz del Conservatorio - e la bella voce di Badrya Razem.

Entrando più direttamente nel merito della registrazione, è inevitabile apprezzare innanzitutto la raffinatezza di una scrittura che sa ben costruire le melodie sfruttando nel migliore dei modi la timbrica dei singoli strumenti e gli impasti sonori dei collettivi. Ottaviano si ascolta nell’ispirato Here and Now che apre la scaletta, mentre Guarda lontano incastona un lungo ed efficace assolo di basso e se Devo andare si fa apprezzare per il suo respiro quasi cameristico, le atmosfere cangianti di Clouds and Trees forniscono a Ottaviano il trampolino per un solo di taglio rapsodico, mentre la Razem interviene vocalmente in una veste quasi strumentale.

Atmosfere di sapore latino si colgono ne I tuoi occhi, cui seguono il lirico e delicato La doppia ora e Havona di Jaco Pastorius, un omaggio a un grande del basso elettrico che oltretutto è anche l’unico titolo non originale dell’intera registrazione.

L’attesa si rivela rarefatto e danzante allo stesso tempo, mentre nel malinconico Autumn Tales torna di scena il sax di Ottaviano che, dopo aver aperto il disco, ne sigla altrettanto autorevolmente una tradizione. Dal punto di vista stilistico, ci piace citare ancora le parole di Ottaviano che trova, per questo disco, riferimenti all’ethno jazz degli Oregon, ma anche a una certa scuola inglese della cosiddetta area di Canterbury. In altre parole, la conferma di un talento musicale onnivoro e desideroso di rivolgere le proprie curiosità intellettuali anche nei confronti di un passato ricco di tesori tutti da riscoprire.

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