La sua storia di violoncellista fuggito dalla guerra civile in Albania per trovare una nuova vita in Italia e nel Salento che lo ha adottato, ha emozionato il mondo: Redi Hasa dopo il successo dell’album di debutto «The Stolen Cello» torna con una Deluxe Edition del disco, in uscita l’11 giugno per Decca Records e anticipata dal brano «Finger Dance», già disponibile. Un viaggio in musica ispirato a una fase dolorosa e importante della sua vita: protagonista è un giovane che fugge dal conflitto albanese dei primi Anni ‘90 portando con sé ciò che ha di più caro: un violoncello rubato.
Alle 12 tracce già presenti se ne uniscono cinque nuove, tra cui un’inaspettata cover di «With a little help from my friends» dei Beatles, band molto cara ad Hasa, che lo ha ispirato quando era giovane musicista in cerca di libertà. E il suo percorso musicale negli ultimi tempi ha incontrato perfino i premi Oscar: il disco di Ludovico Einaudi «Seven Days Walking», al quale ha partecipato, è stato scelto per le colonne sonore dei film vincitori «Nomadland» (miglior film, regista e attrice) e «The Father» (miglior attore e sceneggiatura non originale).
Cinque nuovi brani per proseguire la storia di «The Stolen Cello»
«Proprio così. Quando avevo registrato il primo album erano rimasti fuori, a malincuore, ora finalmente siamo riusciti a inserirli. C’è “Finger Dance”, che esplora la fantasia del bambino che inizia a suonare il violoncello. Quando ho cominciato io, a 6 anni con mia madre, ero attratto dal movimento delle dita che schiacciavano le corde e facevano uscire il suono, immaginavo quelle dita ballare. Poi “Not Far”, “non lontano”: nel Salento siamo molto più vicini all’Albania che a Roma, mi basta andare a Otranto o Novaglie, dove si vedono le mie montagne, posso allungare la mano e mi sembra quasi di toccarle. Dà l’idea che nessun sogno, grande o piccolo, è irraggiungibile. Se durante un concerto propongo, ad esempio, un brano tradizionale albanese, c’è sempre qualcuno che si avvicina in lacrime, dicendo che sono riuscito a trasportarlo nei suoi ricordi. Quello per me è un piccolo miracolo».
E la cover dei Beatles
«Una band a cui sono molto legato. Durante la dittatura avevamo sete di informazioni, voglia di sapere cosa succedeva dall’altra parte del mare. Per questo costruivamo antenne di fortuna, lo faceva anche mio padre, coreografo, per ricevere i canali italiani, e questa canzone è rimasta nella mia memoria».
Ormai adottato dal Salento. È vero che tra voi artisti di questa terra c’è più collaborazione che competizione?
«Sì. In realtà siamo quasi una famiglia. Al Salento devo dire grazie di cuore, mi ha accolto con uno spirito di ospitalità molto accentuato. Qui ho trovato amici carissimi, ho trovato l’amore, e dei colleghi con cui collaboro tuttora. E nonostante i miei progetti musicali mi portino spesso fuori e sarebbe più facile trasferirmi a Roma o Milano, non ho mai pensato di andarmene».
Progetti musicali tra cui quello con Ludovico Einaudi, che l’ha portata fino agli Oscar...
«Con Ludovico ormai collaboro da dodici anni. Sono molto fortunato, abbiamo condiviso tanto dal punto di vista professionale, ma soprattutto umano. Le musiche scelte per i film che hanno trionfato sono prese per la maggior parte dall’ultimo disco di Einaudi, «Seven Days Walking» (che ha totalizzato il maggior numero di streaming mai raggiunti da un compositore di musica classica nella sua prima settimana di uscita, ndr.) registrato in trio, io, lui e il violinista Federico Mecozzi. E da grande appassionato di film è stato un bellissimo traguardo per me portare un «pezzo di Salento» sul tetto del cinema mondiale. Anche i miei lavori, del resto, sono molto «fotografici», mi piace associare alla musica le immagini».
Che estate sarà quella che sta arrivando?
«Ricca, si spera. Ci sono tante cose in ballo, dal tour di Ludovico a un progetto di 6 date in tutta Italia con uno dei produttori di Bjork, in cui ho coinvolto anche Rachele Andrioli. Non si possono fare grandi programmi, ma speriamo di farcela».
E se potesse incontrare per un attimo quel bambino che a 6 anni, in Albania, imparava a suonare il violoncello, cosa gli direbbe oggi?
«Di giocare. “Gioca”. Il gioco è il segreto di tutto».