Diario di classe
Continuare a parlare o restare in silenzio?
A pochi giorni dallo sciopero dei giornalisti Rai e dalla lettura del comunicato del sindacato Usigrai che denuncia l’ingerenza di politica e governo nei confronti dell’informazione, è impossibile non porsi domande circa la libertà di espressione
A pochi giorni dallo sciopero dei giornalisti Rai e dalla lettura del comunicato del sindacato Usigrai che denuncia senza mezzi termini l’ingerenza asfissiante della politica e del governo nei confronti dell’informazione, è impossibile non porsi domande circa la libertà di espressione e che sia cambiato il vento e che i tempi siano cambiati e che persino l’alfabeto necessiti di continui aggiustamenti sembra essere ormai del tutto certo.
Finanche la parola pace spogliata dal suo significato etimologico, ha assunto oggi un valore divisivo. sempre più spesso declinata con accezione negativa in quanto vessillo di uno schieramento politico, pericolosa banderuola da cui prendere le distanze per allontanare il rischio di finire etichettati come pericolosi antisemiti.
Ce lo dimostra quanto sta accadendo nelle università americane o alla Sorbona di Parigi.
Ma che sia cambiato il vento è evidente anche qui da noi, lo avvertiamo nella scelta attenta delle parole e più ancora nella cura con cui dibattere, persino in contesti amicali dei temi «sensibili». Allora le scelte non possono che essere due: restare in silenzio per non incorrere in fraintendimenti o continuare a parlare.
Ed è ciò che hanno scelto di fare un gruppo di giovanissimi liceali di una scuola barese, rivendicando la loro esistenza, proponendo momenti di dibattito e confronto nella sede barese della Comunità Palestinese scelta dettata dall’impossibilità di organizzare momenti di condivisione nelle scuole che hanno preferito essere prudenti e declinare l’invito.
Che vadano altrove i nostri giovani studenti a cercare risposte.
Questo il messaggio lanciato da molti di noi adulti: facciamo silenzio, aspettiamo che tutto passi, che l’acqua scorra tumultuosa oggi, che prima poi tornerà a scorrere di nuovo lenta.
Ma come Edoardo e Sara ci hanno ricordato, citando Fabrizio De Andrè e la Canzone del maggio, scritta nel 1973 (liberamente tratta da un canto del maggio francese del 1968 di D. Grange) : Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.
Mentre questa sera li ascolto parlare con l’ emozione, l’ardore e insieme la timidezza dei loro 16 anni, mi accorgo di avvertire imbarazzo.
Li abbiamo definiti inconsistenti, disinteressati alla politica e al mondo di cui sono parte. Descritti come frivoli e omologati, una generazione fantasma senza personalità e senza ideali, e oggi che sono qui davanti a noi con la loro faccia pulita ma l’espressione seria di chi esige risposte, continuo a provare soggezione.
Una sensazione di fastidioso disagio per il nostro non saper dire e soprattutto per il nostro NON saper fare, certa che arriverà il tempo in cui saremo chiamati a rispondere su ciò che presto finirà nelle pagine dei libri di scuola.
Mi assale il timore che i nostri figli, o al più tardi i nostri nipoti, possano un giorno pretendere risposte dal nostro silenzio connivente.
Dove eravate voi mentre ciò accadeva? E cosa avete fatto voi, mentre ciò accadeva?
NIENTE.
E ahimè, questa volta non varrà neanche la solita giustificazione del non sapevamo, in un’era di iperconnessione come la nostra.
Oggi rientro a casa, non con più certezze, ma con la consapevolezza che porsi domande e provare a trovare risposte, voglia dire essere comunque dalla parte giusta.
Sono i giovani a ricordarcelo.