«Ciarderie»

Cozze, orecchiette e... ricci schiacciati

Gianni Ciardo

Buongiorno! Bene. Niente da fare. Sanremo continua. Le televisioni, le radio e altri apparecchi intelligenti insistono con le canzoni, che anche se a qualcuno non sono piaciute c’è da dire, come disse Giove, «tanto suonò che piovve!»

Buongiorno! Bene. Niente da fare. Sanremo continua. Le televisioni, le radio e altri apparecchi intelligenti insistono con le canzoni, che anche se a qualcuno non sono piaciute c’è da dire, come disse Giove, «tanto suonò che piovve!»

Sono stati i testi delle canzoni che sono piaciuti più della musica e a questo proposito voglio citare Filippo il fruttivendolo che sta sotto casa mia che dice: «vorrei spezzare un’arancia a favore!»

Questa in fondo è la realtà musicale. Fare i testi delle canzoni non è facile, ecco perché cantano tutti, c’è poco da scegliere. È un po’ come fare Teatro, basta dirlo, crederci, ma soprattutto spacciarlo. Non c’è nessuna differenza fra gli attori e le attrici baresi. L’unica differenza che c’è fra loro e me e che io non ho WhatsApp!

Capita l’antifona?

Vorrei comunque suggerire a chi non capisce molto di musica che se dovete giudicare, non uscite dal «seminario»!

A questo punto, mi viene spontaneo dire a chi dice di capire, «rimani nel seminario!«

Adesso basta. Ho da dire soltanto un’ultima cosa: finalmente, dopo anni di assenza assoluta di canzoni baresi, tradizione o cultura musicale, adesso la abbiamo.

Fino a qualche tempo fa pensavo che Bari avesse come cultura nazionale soltanto le cozze e le orecchiette di Nunzia.

Invece ormai abbiamo anche «i ricci schiacciati» da Morgan.

Sono certezze che dobbiamo constatare e che ci fanno dire che ogni cosa è al posto suo.

C’è un detto che scrisse Dante: la carta vuole il fumo come la cozza vuole il provolone!

Ho detto «cozza» e non ricci perché so che sono stati vietati come la collana di Toni Effe di 70.000 euro.

Bari non ha nessuna tradizione musicale.

Il sottoscritto pur non avendo WhatsApp, ha scritto soltanto qualche canzonetta in dialetto che però non è tradizionale. Quando una canzone infatti diventa tradizionale? Lo diventa soltanto dopo trent’anni dalla morte di chi l’ha scritta.

Beh, allora devo dire che le mie canzoni diventino tradizionali, a me non me ne frega proprio niente. Posso aspettare. Capita l’antifona?

Il tempo potrà aspettare, facendomi diventare nonno o addirittura bisnonno.

E poi diciamolo chi è il bisnonno? È un nonno che esagera, come quelli che credono di essere qualcuno e qualcuno in mezzo agli altri invece non è nessuno. Riflettete con calma. C’è tempo al tempo.

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