Tour del gusto

Dal bacio alla Taylor alla cucina colombiana: lo chef molfettese stregava con la burrata

Barbara Politi

Mauro Pansini e la sua arte culinaria in giro per il mondo, non solo in Puglia

In Puglia lo conoscono in tanti e non soltanto per il bacio che gli schioccò sulla guancia Elizabeth Taylor, quando era chef al “Palace Hotel” di Bari. «Non voleva vedere nessuno, però si era innamorata della burrata pugliese e chiese di conoscere chi le aveva cucinato», racconta, dall’altra parte del telefono, Mauro Pansini, cuoco di Molfetta, a diecimila chilometri e a sei ore di fuso orario dalla sua terra di origine. «L’artigiano della Cucina», così ama definirsi, da un decennio lavora tra l’Italia e la Colombia, dove arrivò per la prima volta «grazie a un amico di Sannicandro di Bari, Alessandro Mondelli, fotografo e organizzatore di eventi in giro per il mondo».

Inizia cosi la sua avventura in cui, un po’ per caso, Pansini scopre la bellezza e le potenzialità di città come Bogotà, Barranquilla e Cartagena de Indias. «Avevo lavorato per tantissimi anni in Puglia. Prima a Bari, al “Palace Hotel”, al “The Nicolaus Hotel” e al “Kursaal Santalucia”, poi ad Andria, a “Tenuta Cocevola – spiega – così ho raccolto la sfida dell’estero». Germania, Spagna, Francia, Kazakistan, Irlanda, New York, Boston, sono solo alcune delle sue destinazioni professionali, nel corso degli anni. «Poi sono arrivato alla corte della nota famiglia di imprenditori alberghieri Edgardo Jaramillo, Roberto Caballero e Daniela Jaramillo per lavorare negli hotel e nei ristoranti di loro proprietà, ma anche negli eventi privati e sulle navi turistiche. Lavoro nella catena alberghiera “Hotel GHL Collection” e nei ristoranti ad essa collegati, come “Limone” e “Coco Beach”, al quindicesimo piano di un grattacielo», spiega Pansini. In queste strutture lo chef pugliese ha fin da subito cercato di promuovere la cucina italiana e le contaminazioni con la cultura gastronomica locale, «con l’obiettivo di servirmi di queste opportunità lontano da casa, per farvi rientro arricchito di una linfa diversa».

«Ho aperto le porte di “Limone” allo chef italiano Mauro con molto piacere. Il mio è un prestigioso ristorante situato nella città di Barranquilla, nell’Atlantico della Colombia. “Limone”, poco dopo la sua apertura, è entrato nelle simpatie dei clienti per gli ingredienti di alta qualità provenienti da diverse parti del mondo, in particolare dall’Italia e dal Mediterraneo», racconta l’imprenditore alberghiero Edgardo Jaramillo, che ricorda come sia stato suo padre, innamorato della cucina italiana e delle ricette di Sophia Loren, ad avviare la prima attività sul posto.

«Dopo la sua morte, ho continuato io, prima con la trattoria “La Tavola” e oggi con gli hotel e i ristoranti “Limone” e Coco Beach». In Colombia per il cuoco molfettese non è stato tutto rose e fiori, soprattutto all’inizio: «Quando in Colombia entri in una cucina, non è che arrivi nell’oro. È un paese straniero dove nessuno parla italiano e pochissimo l’inglese, la gente del posto ha un suo modo di lavorare, con gusti diversi e usanze differenti dalle nostre». Nonostante le difficoltà iniziali, Mauro ha messo le mani in pasta, «come uno chef deve fare, come un direttore d’orchestra, aperto allo scambio con il diverso, in un confronto perenne con la terra straniera che mi ospitava». Ma cosa c’è nei suoi menù? Innanzitutto i piatti italiani più famosi al mondo, come la Carbonara e la Matriciana.

«Ma c’è anche della pugliesità, con la parmigiana di melanzane nelle diverse varianti alla zucca, zucchine e carciofi, perché qui con le temperature troppo alte i vegetali non abbondano e bisogna adattarsi, ci sono patate e riso a volontà, con le quali preparo il gateau imparato al “Don Alfonso 1890”, gli spaghetti al pesto di melanzane con la burrata, la crema di ceci con i gamberetti, le insalate, gli gnocchi, il pesce in crosta di pistacchio con gli asparagi e la maionese vegetale, il filetto in crosta di pane e mozzarella di bufala, le zeppole, le frittelle (panzerotti), qui chiamati “empanade” e fritti con la farina di mais, ma anche i piatti con la frutta esotica, le lasagne, le cartellate e perfino il tiramisù». Per i pomodori, caposaldo della cultura italiana a tavola, «che però in Colombia sembrano di plastica e sono acerbi», il maestro ha trovato una soluzione: «Tuffarli nell’olio bollente per pochi minuti, passarli nel ghiaccio, togliere i semi e rosolarli con uno spicchio di aglio in camicia. Ecco, bisogna avere l’estrosità di adattarsi al territorio e saper utilizzare gli ingredienti a nostro favore», ha precisato. Sulla missione della figura dello chef, che lui preferisce definire “cuoco”, Pansini non ha dubbi: «Prima di tutto deve essere un cuoco da trattoria, solo così potrà celebrare le origini della sua cultura, valorizzandone le materie prime e il gusto, all’insegna della sostenibilità».

Privacy Policy Cookie Policy