Il futuro dell’ex Ilva si gioca nelle prossime ore. Oggi pomeriggio alle 18 sono convocati al ministero delle Imprese i sindacati che hanno chiesto e ottenuto di partecipare attivamente ai tavoli sull'accordo di programma per valutarne l'impatto produttivo e occupazionale. Domani alle 9 toccherà invece alle istituzioni locali, a partire dal Comune di Taranto e dalle Regione Puglia. Ma già stamattina alle 12 la vertenza Ilva tornerà anche all’attenzione della Commissione Ambiente del Consiglio regionale, guidata da Michele Mazzarano. All’audizione sono stati invitati l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che sarà rappresentato dal dottor Giuseppe Bortone, del Dap di Taranto di Arpa Puglia, del Comune di Taranto e dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste: Peacelink, WWF, Legambiente, Giustizia per Taranto e Genitori Tarantini.
Due le ipotesi di accordo sulle quali si sta ancora ragionando, partendo però dal punto fermo comune di accelerare sulla decarbonizzazione, passando da 12 a 8 o 7 anni a seconda delle opzioni. La prima prevede di realizzare a Taranto tre forni elettrici con tre Dri (Direct reduced iron, ovvero gli impianti per realizzare il preridotto) e presuppone il posizionamento di una nave rigassificatrice che fornisca il gas necessario ad alimentarli. La seconda ipotesi è che a Taranto si realizzino tre forni elettrici alimentati anche con un contratto di servizio da parte della società Dri Italia, che realizzerà però il preridotto in un’altra località del Sud di Italia dove sarà più facile il rifornimento, a miglior costo e convenienza, del gas necessario. In entrambi i casi il governo ha sempre assicurato la continuità produttiva dello stabilimento.
Giovedì 17 toccherà poi alla Conferenza dei servizi che dovrà approvare la nuova Autorizzazione integrata ambientale.
«Si sgomberi il campo attorno alla discussione sull’ex Ilva e sul futuro della città, da approssimazione e faciloneria. È - dice la Cgil - il tempo di rimanere concentrati sui migliori risultati possibili per l’ambiente, l’occupazione ed il futuro produttivo di Taranto e per farlo serve maggiore protagonismo e l’unità tra lavoratori e cittadini sulla base di dati tecnici e scientifici che possano garantire un futuro sostenibile».
«Non esistono soluzioni semplici, come non lo è tutta questa vertenza, che però è giusto torni ad essere discussa e sviscerata qui dove si consumano drammi e contraddizioni. Ecco perché l’appello è a tutti a patto che le richieste non siano di quelle irrealizzabili che di fatto, infine, finiscono per dividere il fronte ed allungare i tempi. Ed è per questa ragione che continuiamo a sostenere che qui si può produrre acciaio come si fa altrove senza compromettere nulla; perciò, per noi - assicura la Cgil - è imprescindibile realizzare i forni elettrici sul territorio e salvare tutti i posti di lavoro tra i diretti, i lavoratori di Ilva in Amministrazione straordinaria, l’indotto e gli appalti come condizione fondamentale e imprescindibile della decarbonizzazione. Lo abbiamo sempre sostenuto, a partire dal progetto Dri Italia finanziato inizialmente dal Pnrr e successivamente de finanziato dal governo Meloni ed inserito nel fondo di coesione e sviluppo. Quel progetto prevedeva, per sostenere la filiera dei forni elettrici un impianto di Dri (preridotto ndr). E ancora, tutto questo va fatto in sei anni, non quattordici, perché aspettare ancora?» Per Cgil e Fiom Taranto fondamentali per il raggiungimento di una intesa soddisfacente ci sono un «preciso impegno alla salvaguardia di tutti i profili professionali dei lavoratori diretti, di Ilva in As, dell’indotto e degli appalti; il riconoscimento in seno all’Aia dell’indicatore della Valutazione Integrata dell’Impatto Ambientale Sanitario; la presenza maggioritaria dello Stato nella gestione diretta legata alla fase attuale e futura fino alla realizzazione del piano di decarbonizzazione del sito produttivo». Inoltre «nel caso della realizzazione dei tre forni elettrici, c’è un solo impianto Dri Italia finanziato dal Fondo di coesione sviluppo ed è destinato alla filiera della produzione dell’acciaio locale». La Cgil e la Fiom chiedono un «piano di ripartenza reale basato sulla capacità produttiva e provvisoria degli altoforni al netto di tutti gli interventi strutturali per la loro messa in sicurezza e la realizzazione della completa decarbonizzazione dello stabilimento entro l’anno 2030 e non il 2039 come stabilito dal Governo».