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Ex Ilva di Taranto, «È ora di fare chiarezza sui nostri interlocutori»

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

Ex Ilva Taranto

Il segretario generale della Fiom, Michele De Palma: «Se il Governo non ci convoca, nuove mobilitazioni»

Martedì 03 Ottobre 2023, 12:47

Michele De Palma, segretario generale della Fiom, non dà tregua la crisi Ilva, venerdì arriva a Taranto il commissario Elisa Ferreira. La modernizzazione dell’impianto è un tema di sovranità nazionale ma anche sotto i riflettori dall’Ue. Cosa c’è da aspettarsi da Bruxelles?

«Taranto è il luogo più importante dell’industria siderurgica europea. Il problema del nostro Paese è che le risorse previste dal Pnrr sono state definanziate sulla transazione ecologica degli impianti, e ad oggi non sappiamo se il Governo deciderà di stanziare altre risorse dal Repower o dal Fsc. In più non sappiamo se ci saranno altre risorse che ArcelorMittal avrebbe dovuto investire. Poi c’è il tema fondamentale dell'autonomia industriale dell’Europa, di cui l’Italia è parte fondamentale».

A cosa si riferisce?

«Noi abbiamo uno stabilimento in Puglia che avrebbe dovuto produrre 8 milioni di tonnellate. Ad oggi ne produce scarsi tre milioni entro la fine dell’anno. E tutto questo mentre il mercato ha bisogno di acciaio di qualità ma anche pulito dal punto di vista ambientale, e il processo di decarbonizzazione è fermo. C’è bisogno di rifare Afo5 e non sta succedendo».

Nei giorni scorsi c’è stata la mobilitazione di Fiom, Fim e Uilm con lo sciopero nello stabilimento ionico e ieri a Genova. Che effetto ha avuto la piattaforma di rivendicazioni presso l’azienda e l’ad Lucia Morselli?

«Nel rapporto con l’azienda c’è un vulnus: non ci sono relazioni sindacali o industriali, né sui piani industriali, né sul piano occupazionale. E purtroppo nemmeno sulle manutenzioni, con un rischio rilevante di incidenti durante i turni in tutta Italia, a Taranto come a Genova. Noi oggi non abbiamo un interlocutore per Acciaierie d’Italia: non c’è né sul piano istituzionale né con Arcelor Mittal, che ha cancellato il confronto sul merito, mentre costruisce eventi di propaganda sulle spalle dei lavoratori di Acciaierie d’Italia».

A che punto è la discussione sul piano industriale?

«Non si sa ancora chi gestisce l’azienda. Il piano industriale è quello che prevede il rifacimento di Afo5. Se non si parte, si rischia l’eutanasia dell’ex Ilva e di una parte della siderurgia del nostro Paese, con effetti a cascata sulle altre fabbriche e sui costi dell’acciaio in Italia».

Il futuro dell’azienda registra due visioni nel governo: privatizzazione secondo Raffaele Fitto o nazionalizzazione per Adolfo Urso. Quali i pro e contro delle due ipotesi visti dall’osservatorio della Fiom?

«A Palazzo Chigi fanno e disfano di giorno e di notte. Il governo prima fa un decreto, a fronte di un "non investimento" da parte del privato, per salire con le quote pubbliche nell’azienda. Poi il sottosegretario Alfredo Mantovano ci dice che il mandato a trattare con Mittal lo detiene adesso Fitto. Ma non ci dicono per fare cosa».

Da qui la reazione dei sindacati?

«Ci siamo autoconvocati, abbiamo fatto scioperi a Taranto e Genova. Il piano regionale ministeriale con cui sono andato al tavolo istituzionale, e l’accordo di programma avevano bisogno di un piano industriale. E il prezzo è pagato dai lavoratori. Il 50% dei lavoratori che devono fare manutenzioni sono in cassa integrazione, con effetti sulla salubrità e la sicurezza. Bernabè minaccia le dimissioni, Morselli fa le convention e il governo ci convoca per ascoltarci. Manca la sostanza: una reale trattativa».

L’incertezza attuale come incide sui livelli occupazionali?

«Con questi numeri come fa a stare in piedi il settore? E così si va a battere cassa al governo, senza un ritorno né da un punto di vista ambientale produttivo e occupazionale. Più che nazionalizzare l’Ilva si nazionalizzano le perdite. Eppure potremmo essere il player internazionale dell'acciaio per eccellenza».

Cosa rischia l'Italia?

«Questa vertenza è la metafora dell’industria del Paese. Era stato annunciato il piano della siderurgia nazionale ma non l’abbiamo mai visto. Ogni giorno c’è una novità ma dopo gli annunci non c’è nulla. Se prendessimo per vere le dichiarazioni dell'ad Morselli, arriveremmo a produrre 8 milioni di acciaio, ma gli impianti non sono in grado di rispondere alla domanda e abbiamo gli operai in cassa integrazione».

Le vostre prossime mosse?

«Andiamo nel merito: i tre sindacati confederali hanno posto la questione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie con risorse a hoc. Poi c’è il tema dell’investimento su Afo 5: senza l'ammodernamento di questo impianto e i due forni elettrici non c’è futuro. E aggiungo, le risorse dovevano essere messe dal privato e dal pubblico. Quelle stanziate dal privato non si sono viste, quelle pubbliche non sono servite a Invitalia per salire al 60% nel capitale sociale di ADI come annunciato dal Governo, anzi ulteriori risorse pubbliche sono state messe per partecipare al processo di decarbonizzazione. Alla fine abbiamo una produzione al minimo storico e una decarbonizzazione che non è mai partita. Questi interventi permetterebbero di reintegrare in pieno tutti i lavoratori, ora costretti agli ammortizzatori sociali. Ricordo anche il tema della sicurezza: in Ilva gli incidenti sono un problema rilevantissimo. Siamo oltre il limite massimo di sopportazione. Bisogna intervenire subito. E resta il nodo della nostra controparte industriale».

Con chi animare la dialettica?

«Ci vuole chiarezza sugli interlocutori, dopo queste dichiarazioni che generano sconcerto - tra minacce di dimissioni e dossier che passano da un dicastero all’altro - abbiamo bisogno di ben altro».

Le prossime mosse dei sindacati?

«Oggi ci incontreremo con Fim e Uilm per avere un timing unitario. Mantovano ha detto che Palazzo Chigi ipotizza una riconvocazione: senza un nuovo incontro in tempi brevi che dia risposte metteremo in campo altre mobilitazioni».

Il futuro dell'Ilva cosa rappresenta?

«Occupazione, produzione, transizione green, base industriale siderurgica e la questione energetica: la vicenda dell'acciaio è il prisma del futuro produttivo dell’Italia».

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