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Taranto, quando in città scoppiò l’ultima epidemia di peste nota in Europa

 
Gaetano Appeso

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Gaetano Appeso

Taranto, quando in città scoppiò l’ultima epidemia di peste nota in Europa

L’episodio riportato nei documenti del 1945 dell’archivio storico dell’arsenale della Marina Militare. Fu inventato un ingegnoso macchinario a vapore portatile colmo di topicida

Giovedì 21 Aprile 2022, 11:59

La brezza di fine estate del ’45 soffiava tra le rovine delle città europee, la guerra da poco finita lasciava sperare il vecchio continente in un nuovo inizio, mentre era ancora marcata la presenza di truppe alleate negli avamposti e nei porti strategici.

Nel settembre di quell’anno, la città di Taranto era occupata dalle truppe angloamericane e l’Arsenale era fulcro delle attività marittime sia militari che commerciali, in particolare della marina inglese. Alla banchina lavori dello stabilimento tarantino era ormeggiata una nave battente bandiera britannica arrivata da Malta, carica di stoppe e stracci precedentemente imbarcati in India, utilizzati nelle officine meccaniche per assorbire i residui oleosi delle lavorazioni.

Da lì a poco, in città iniziarono a verificarsi casi di strane apparizioni cutanee su alcuni individui. Gli esiti dell’indagine sanitaria furono sconcertanti: a Taranto si stava diffondendo un’epidemia di peste bubbonica.

Il prefetto della provincia ordinò immediatamente la chiusura dei ritrovi pubblici e delle chiese e si attivò immediatamente la macchina sanitaria composta sia dai medici italiani che da quelli inglesi presenti nel territorio, allo scopo di circoscrivere quanto più possibile il diffondersi dell’epidemia. Si scoprì che il focolaio era la banchina lavori dell’Arsenale e, in particolare, il carico di stracci provenienti dall’India che pullulava di pulci di ratto, principale mezzo di trasmissione della peste bubbonica, che si erano già diffuse tra la popolazione murina.

In tale nefasto evento per la città ionica fu risolutiva l’intuizione del medico dell’Arsenale Magg. Gen. Giuseppe Barbagallo, ispirato della grande quantità di vapore che generavano le locomotive che si occupavano del trasporto ferrato all’interno dello stabilimento. Egli pensò di rendere velenoso quel vapore con l’aggiunta di acido cianidrico e di convogliarlo negli scarichi pluviali e nei sistemi fognari, allo scopo di sterminare i ratti e, quindi, il veicolo di diffusione del contagio. Le officine dell’Arsenale si attivarono realizzando il necessario e il micidiale composto gassoso fu pompato attraverso manichette negli angusti meandri del sottosuolo tarantino, diffondendosi in ogni anfratto. La soluzione, che suonava inizialmente strampalata, funzionò e diede un notevole contributo alla risoluzione dell’angosciante problema.

Le misure di contenimento e l’intenso lavoro dei medici furono efficaci e l’epidemia si risolse nel dicembre dello stesso anno: la peste venne debellata con sole quindici vittime, una delle quali era un marittimo inglese parte dell’equipaggio della nave cargo.

Quella incredibile vicenda ispirò, successivamente, gli ingegneri dell’Arsenale che utilizzarono lo stesso principio per costruire una macchina in grado di derattizzare le stive delle navi. Il macchinario, costruito dall’officina congegnatori e messo a punto dal Maggiore Nicola Velardocchia, consisteva in un generatore di vapore portatile, munito di serbatoio e dosatore dell’acido cianidrico, che veniva sistemato nel locale da bonificare.

Quell’invenzione, dall’aspetto tozzo e sgraziato, risolse o limitò l’annoso problema dei topi a bordo delle navi e per questo motivo fu premiata con un prestigioso riconoscimento dal Consiglio Superiore delle Forze Armate.

Alla città di Taranto, invece, non resta che l’infelice primato di essere stata l’ultimo caso di peste bubbonica in Europa.

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