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Taranto, stipendi d’oro al Comune: sono 28 le condanne in appello

 
Vittorio Ricapito

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Vittorio Ricapito

comune di taranto

Nuovo round per il buco da 6 milioni nelle casse dell’ente

Mercoledì 27 Novembre 2019, 11:00

TARANTO - Ventotto condanne per peculato e solo quattro prescrizioni al processo d’appello-bis sui così detti «Stipendi d’oro» al Comune di Taranto, il caso della presunta gigantesca voragine nei conti pubblici comunali causata da stipendi gonfiati col trucco dei progetti-obiettivo.
Per la Corte d’appello di Lecce, che ieri si è espressa per la seconda volta sul caso, anche se sono trascorsi quasi vent’anni dai fatti, la prescrizione non ha ancora cancellato i reati.

Così i giudici hanno rideterminato le pene e condannato a quattro anni di reclusione per peculato l’ex dirigente delle Risorse umane del Comune Luigi Lubelli (nel precedente processo era stato condannato a sei anni), a tre anni Nicola Blasi, Giuseppe Cuccaro, Francesco Grassi, Vito Marsiglia, Orazio Massafra e Carlo Patella. A due anni di reclusione, con pena sospesa, sono stati condannati: Lidia Alfieri, Giuseppe Angelini, Cosimo Bitonto, Bruno Cosimo, Anna Maria Canetti, Angelo Fiore, Raffaella Fiorito, Maria Marino, Rocco Maurelli, Luciano Mezzacapo, Luciana Panzetta, Pietro Antonio Perrucci, Italia Plantone, Francesco Portulano, Fernanda Prenna, Letizia Quaranta, Antonia Quero, Michele Saccomanni, Cataldo Sangermano, Antonia Velle e Pasquale Virtù.

La Corte ha anche confermato le statuizioni civili, cioè i risarcimenti stabiliti con la precedente sentenza impugnata. Il precedente processo stabilì infatti una provvisionale, cioè un risarcimento immediato, di quasi sei milioni di euro in favore del Comune di Taranto, costituito parte civile con gli avvocato Pasquale Annicchiarico e Daniele Convertino.
I giudici disposero anche la confisca di beni per cinque milioni e 700mila euro. Confisca ora limitata a 337mila euro.
Era il 15 settembre del 2005 quando la guardia di finanza effettuò un blitz negli uffici comunali della direzione Risorse finanziarie del Comune, in via Plinio. Un anonimo aveva inviato alle fiamme gialle la fotocopia delle buste paga di quattro dirigenti da cui emergeva che la voce più pesante era quella dei progetti.
Già nel 2001 gli ispettori ministeriali avevano segnalato un ampio ventaglio di gravissime inadempienze gestionali nelle casse del Comune, violazioni di leggi e regolamenti che incidevano sulla destinazione delle risorse finanziarie, «nell’assoluta indifferenza», così scrissero i magistrati nella precedente sentenza, del ceto politico.
Dopo le indagini, scattò l’arresto di alcuni funzionari comunali nell’ormai lontano luglio del 2006, accusati insieme ad altri dipendenti di essersi impossessati indebitamente di ingenti somme, percepite come indennità aggiuntive attraverso i famigerati “progetti-obiettivo”.

Lavori extra, che secondo l’accusa in realtà erano di routine e che tra il 2001 e il 2005 avrebbero fatto lievitare enormemente le buste paga di alcuni fortunati impiegati causando un buco di qualche milione di euro alle casse pubbliche. In primo grado, nel 2013, le condanne andarono dai tre anni e mezzo ai sei anni di reclusione.
Nel 2015 una prima sentenza della Corte d’appello ha modificato il capo d’accusa, non più peculato, ma una truffa, prescritta.
Verdetto ribaltato successivamente dalla Cassazione, che ha stabilito una chiara responsabilità degli imputati nel peculato, demandando a un nuovo processo in appello il calcolo delle pene e dei reati prescritti.
I difensori, che ora potrebbero di nuovo ricorrere in cassazione, chiedevano l’assoluzione per gli imputati anche se, a parere dei legali, le accuse sono ormai tutte prescritte.

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