PORTO CESAREO - Ci sono storie reali impastate di sogni impossibili, vette raggiunte passo dopo passo con lacrime e sangue. Storie di costanza e fiducia, un pochino magiche se vogliamo.
Arianna Muci, 46 anni di Porto Cesareo in provincia di Lecce, oggi è una stilista di successo, dopo 30 anni di voli e cadute. Da ragazzina, tra le stanze di casa insieme alla madre e alla sarta del paese era difficile immaginare di varcare i confini nazionali e firmare capi d’alta moda. In un’antica foto dove mamma prendeva il diploma di cucito, Arianna non si vede ma c’è, nel pancione. Era il 1977, in quello scatto c’è tutta una storia da scrivere. Anche lei avrebbe seguito i corsi di Rosanna, la sua concittadina.
«Erano gli anni in cui questo genere di scuole nascevano nei garage, diventai modellista, i primi attestati. Ma sognavo in grande, volevo un diploma riconosciuto dallo Stato».
Il primo salto. L’iscrizione all’istituto de Pace di Lecce. Muscoli e nervi. «Fu una cosa tutta mia, frequentavo, andavo alle riunioni con i docenti dove mia madre non veniva perché riteneva di non avere gli abiti adatti - si commuove, le trema la voce -. L’ho mangiata la scuola, registravo le lezioni poi le riascoltavo di notte con le cuffie. Mi alzavo alle sei del mattino per prendere l’autobus che mi portava a Lecce. Rientravo alle quattro del pomeriggio. Ricordo ancora quando i miei genitori mi dissero che non potevano più pagarmi gli studi».
La prima grande ribellione: un biglietto per l’Emilia Romagna e la fuga. «Si lavorava nei ristoranti e negli hotel per fare le stagioni estive ma a Porto Cesareo non ti davano più di 700mila lire al mese, su invece ti davano due milioni in più. Andai via, mio padre mi tolse il saluto, si sentii tradito».
Al ritorno però papà fu pronto a ricavare da una piccola stanza il primo atelier per quella figlia cocciuta. Gli affetti e il lavoro, sogni diversi su binari paralleli. L’ultimo anno la stilista si trovò a preparare gli esami di maturità, il matrimonio e la nascita della prima figlia. Il trasferimento a Monteroni col marito, l’apertura di un suo corner a Lecce, in via Diaz.
«Essere apprezzati in casa nostra non è semplice, fui costretta a chiudere e andai a fare la docente esterna al De Pace. Il mio sogno si impolverava di nuovo». La famiglia cresceva, i figli erano due, si accumulavano debiti.
«Un amico che si era trasferito in Svizzera, ci disse che lì ci sarebbe stato spazio anche per noi. Mio marito aveva una falegnameria di famiglia, fu costretto a chiudere e nel 2013 partì. Che dolore quella serranda abbassata, l’abbraccio al nostro cane Oliver». Il trasloco definitivo si riassume in un’immagine: un camion in salita pieno zeppo della storia di una famiglia, guidato dal marito, un’auto con le quattro frecce a scortarlo guidata da Arianna con a bordo i suoi figli.
«Arrivammo in Svizzera di notte, avevamo lasciato il caldo e trovammo il freddo, dormimmo su materassi di fortuna. Ripensai la mia vita. Facevo pulizie, ma avevo portato con me le macchine da cucire e iniziai a fare rammendi, orli, pagavano assai».
Arianna Muci diventò «la magicienne», la fatina dalle mani d’oro. Un altro figlio, poi durante il Covid, a gennaio 2021 la svolta. L’incontro con Michael Ingram, le doti di Arianna finalmente apprezzate. «Aprimmo una azienda a Marly, mi ha regalò un corso e mi spinse a produrre i miei bozzetti».
Oggi quella collezione è realtà, il marchio è stato presentato con la realizzazione di uno spot al femminile sulle spiagge di Porto Cesareo. Un tributo alle origini e all’ostinazione. «Vedere una mia creazione addosso a una donna è la più bella poesia che potessi declamare, ho continuato a sognare anche al buio e oggi produco capi con un messaggio etico: un elogio al rispetto del tempo, in contrasto con la frenesia che non ci fa godere gli attimi».