ALTAMURA - Paolo Ruffini sarà in scena al Teatro Mercadante di Altamura con il suo spettacolo Up& Down il prossimo 7 maggio alle ore 20.30.
Ruffini ci spiega la sua evoluzione artistica verso tematiche sociali di grande rilevanza?
«Credo di essere molto cambiato psicologicamente nel tempo e di conseguenza è mutata anche la mia creatività. Oggi penso che sia giunto il momento per fare riflettere il pubblico su temi sociali fondamentali al di là della corrente “social”. Sono convinto che se Aristotele tornasse in vita, ribadirebbe che l’uomo è un animale sociale, non un animale social e che quindi è necessario soffermarsi su problematiche sociali concrete, affrontandole con un po’ di leggerezza, non certo con superficialità, anche attraverso l’audiovisivo».
Da qui è nato il lavoro teatrale Up&Down ?
«Fin dalla realizzazione del progetto “Up&Down” che riguarda le persone affette da sindrome di Down, ho provato una grande soddisfazione nell’affrontare tematiche sociali suscitando in me un arricchimento interiore. Personalmente non credo che ci sia sempre bisogno di toccare con mano la tragedia umana per accorgersi che nella vita ci sono delle grandi difficoltà. Mi è piaciuto esplorare il mondo della disabilità, il mondo della neurologia, il mondo della psichiatria. Ci sono dei temi che secondo me sono molto interessanti e da creativo, da autore, ho voluto affrontarli con lo sguardo leggero di chi si approccia per la prima volta ad essi. L’arte, con le sue sfaccettature più affascinanti dal cinema al teatro, ha poco a che vedere con la normalità intesa in senso lato. La vita stessa non ci chiede di essere normali, la vita è un inno alla diversità: siamo tutti diversamente normali e ugualmente diversi. In Up&Down parliamo di abilità e disabilità alla felicità, alla bellezza, alla meraviglia nei confronti delle cose che viviamo quotidianamente. Lavorando con gli attori di questa compagnia ho scoperto una confidenza con la vita che loro possiedono e che noi cosiddetti “normali” abbiamo perso. Ho imparato la vera essenza della resilienza: un limite che si trasforma in occasione».
Il film sull’Alzheimer è stato la dimostrazione ulteriore della svolta professionale verso il sociale?
«Esatto, e mi attira molto l’idea di creare una costruttiva connessione tra il cinema sociale e la commedia».
Il cinema, il teatro possono avere un effetto terapeutico nei confronti di persone che sono affette da patologie anche neurologiche?
«Certamente! Ce lo hanno insegnato la cultura greca, la cultura ellenica che considerava il teatro come catarsi, come capacità catartica di affrontare la vita, secondo la filosofia di Platone e di altri; nei secoli il teatro come strumento terapeutico ha fatto miracoli».
La sua sensibilità dipende da una formazione culturale classica?
«Probabilmente sì ho frequentato il liceo classico e sono laureato in Lettere».
Lei affronta i problemi sociali con il sorriso; che cos’è la comicità?
«È l’unica soluzione reale che abbiamo per contrastare le brutture del mondo. Di fronte ad una cosa brutta, anche alla rabbia, non si deve mai usare violenza ma soltanto al massimo la risata».