Un’ode all’amicizia, che potrebbe sembrare sdolcinata e ridondante o scopiazzata da altre serie senza avere lo stesso mordente. Invece le tre protagoniste che si riuniscono in caso di crisi a bere «Margaritas» e a scambiarsi confidenze sulle reciproche relazioni, stati di famiglia e lavoro sono a loro modo uniche. Forse la gentilezza e l’affetto con cui si supportano è vintage, e la placida Serenity può essere solo una cittadina immaginaria.
Non mancano però i colpi di scena, i cuori spezzati, gli adolescenti problematici. Il colore delle magnolie, arrivata alla terza stagione su Netflix, è sorprendentemente magnetico, date le premesse, tanto che qualcuno lo ha definito troppo semplice e old style (ma se fosse vero riusciremmo anche noi a sfornare decine di prodotti di successo) ed è tratto dai romanzi di Sherryl Woods, un caso editoriale in America, in cui si raccontano le storie di Maddie (Joanna Garcia Swisher), Helen (Heather Headley) e Dana Sue (Brooke Elliott). Come sempre è la consistenza dei personaggi a fare la differenza, i dettagli e soprattutto la scrittura. La sfida è rendere avvincete la trama anche se narra di una donna (Maddie) che sta divorziando e improvvisamente trova il principe azzurro, allenatore di baseball con fisico mozzafiato (Justin Bruening). O di Helen, una delle tre «magnolie», avvocato affermato che sta passando un momento difficile con l’uomo che ama. La più interessante è però Dana Sue (Brooke Elliott) chef e proprietaria del ristorante Sullivan’s. Essere sovrappeso per lei non è un problema, ha una frotta di corteggiatori da dare pensiero a chi pratica il digiuno. Il cast è perfetto e i teenager sono bravissimi.
