Adattamento della webcomic di Nathan W. Pyle, Strange Planet si distingue da altre animazioni per adulti per il suo tono dolce e familiare, che non sacrifica mai la satira. Su un pianeta altrove, ma non troppo diverso dal nostro, vivono creature blu, esseri senza nome che non dicono «grazie» ma «gratitudine». Per bere «veleno dolce» (alcool) devono dimostrare di «esistere da abbastanza tempo» (la data di nascita)…
L’idea è di ricondurre tutto a una definizione di base, dagli oggetti ai sentimenti, passando per i nomi. Gli esseri stessi sono di genere neutro, nella versione originale si usa il pronome they. Iper-letterali e deliberatamente indistinti, si interrogano con angoscia sul senso della vita, da cui escono sempre più felici di prima, imparando, perdonando, tollerando. Per la serie televisiva, dieci puntate in onda su Apple TV+, Pyle «assume» Dan Harmon, showrunner che ama i sottotesti metafisici e i racconti assurdi che dissimulano riflessioni esistenziali. Conosciuto per il suo umorismo cinico (Community, Rick and Morty), la sua trasposizione resta comunque fedele alla sensibilità di Pyle e ai suoi personaggi, che rievocano il nostro rapporto con gli altri e col mondo. Dentro un universo astratto, Strange Planet offre una visione acuta sui paradossi della vita moderna, rimanendo accessibile a tutti. Indiscutibilmente brillante e intelligente, manca tuttavia di una risonanza profonda. L’idea che la nostra società sia intrinsecamente assurda sarebbe stata più incisiva se esplorata attraverso l’articolazione di un personaggio principale. Ma gli autori preferiscono lo stile distintivo alla complessità narrativa. Tra esercizio linguistico e una qualità quasi scientifica, la serie non va mai oltre il suo concetto che contempliamo comunque con un sorriso indulgente.