Si tratta di due appartamenti in via Regina Margherita a Ceglie del Campo, alla periferia di Bari. La Corte di Appello ha infatti ritenuto che una delle due figlie, oggi 30enne, "sia stata sempre estranea al nucleo famigliare di suo padre". Soltanto dopo il 2008, quando è stata confiscata la casa del boss, Antonio Di Cosola con la moglie e un altro figlio hanno abitato nell’appartamento di proprietà della giovane. L'altra figlia, di 27 anni, con "reddito lecito e dichiarato da lavoro dipendente", "nel 2006 si è allontanata dal suo nucleo famigliare e, dopo essere andata ad abitare con i nonni materni, ha acquistato da costoro (nel 2007, ndr) l’immobile" mediante un mutuo bancario.
"Non si rilevano – concludono i giudici – indizi sufficienti che possano far ritenere che i beni oggetto di confisca siano in tutto o in parte frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego». Del resto, osserva la Corte di Appello richiamando sentenze della Cassazione, "la disciplina delle misure di prevenzione non ha e non può avere la finalità di sanzionare i terzi, tantomeno retroattivamente".