TARANTO - La sicurezza della navigazione, la sorveglianza dei mari a protezione di cavi sottomarini e gasdotti, l’attività di prevenzione e protezione. Sono tutti compiti che la Marina Militare svolge al servizio del Paese e degli interessi nazionali, mantenendo le capacità operative di intervento grazie ad una costante e quasi quotidiana opera di addestramento. Una forza armata che proprio in Puglia ha il suo «core business». Nel triangolo delle basi di Taranto, storica capitale della Marina, di Brindisi, sentinella del canale d’Otranto e di Grottaglie che rappresenta le “ali” della forza armata, vivono e lavorano più di 10.000 militari. A cui si deve aggiungere il personale civile impegnato negli Arsenali di Taranto e Brindisi per il mantenimento in efficienza della flotta navale. A proposito di flotta, tutte le unità maggiori (e a maggior tonnellaggio) della Marina, sono dislocate nelle due basi tra Adriatico e Ionio. Taranto è “casa” della portaerei Cavour, l’ammiraglia della Squadra navale italiana.
Tra le attività che permettono agli equipaggi di interagire anche con le Marine di altri Stati e con le altre forze armate, c’è l’esercitazione Mare Aperto, andata in archivio solo due settimane fa. Circa 10mila militari di 26 nazioni, di cui undici appartenenti alla Nato, oltre 100 mezzi tra navi, aeromobili, sommergibili e velivoli non pilotati per quella che è l’attività addestrativa più importante mai realizzata nel Mediterraneo dalla Marina.
A tracciare un bilancio delle operazioni alla «Gazzetta», all’indomani della festa della Marina, celebrata ieri a Civitavecchia, è il comandante in capo della squadra navale, l’ammiraglio di squadra Aurelio De Carolis.
Ammiraglio, partiamo proprio dalla Giornata della Marina di ieri. C’è un messaggio che vuole rivolgere agli uomini e alle donne che in questo momento lavorano nei mari del mondo al servizio del Paese?
«Sono spiritualmente con loro e mi piace poter condividere in mare la speciale Giornata che rievoca un’impresa gloriosa nella quale trovano sintesi le qualità dei marinai italiani di ogni epoca: coraggio, determinazione e dedizione al servizio. Il 10 giugno il mio pensiero è andato agli oltre 3.000 marinai, tra uomini e donne impegnati in servizio, in diverse aree del mondo, ben oltre il Mediterraneo Allargato. A tutti loro mi fa piacere indirizzare anche dalle colonne della “Gazzetta” un messaggio di apprezzamento per quanto fanno e di comprensione per le difficoltà che affrontano insieme ai loro cari nella quotidianità di una professione, la nostra, che è a mio avviso meravigliosa ma che richiede a tutti in famiglia tanta forza d’animo soprattutto per affrontare i periodi di lontananza da casa. Per dare un’idea basti pensare che solo in termini di unità navali di superficie avremo 13 navi operanti fuori dal Mediterraneo. Cominciando dall’Alliance che si effettua ricerche a nord del Circolo Polare Artico per andare al Bettica nel Golfo di Guinea, i 3 pattugliatori classe Esploratore nel Sinai, le fregate Fasan, Martinengo e Rizzo rispettivamente nel Mar Rosso, in Oceano Indiano e in Atlantico, il pattugliatore polivalente d’altura Montecuccoli in rotta per le Hawaii dove svolgerà un’importante esercitazione guidata dalla marina statunitense, la nave scuola Vespucci nel Pacifico nell’ambito del giro intorno al mondo, la portaerei Cavour e la fregata Alpino in Oceano Indiano.
Ecco restiamo proprio sul Cavour e sulla esercitazione Mare Aperto che si è da poco conclusa. Le navi sono rientrate alla base e qualcuna, come la portaerei Cavour, è già ripartita per una nuova missione. Quella di quest’anno è stata definita l’esercitazione più grande mai realizzata dalla Marina. In che termini?
«In termini di numero di mezzi impiegati, personale coinvolto e ampiezza delle aree interessate che hanno coperto tutto il Mediterraneo centrale e occidentale e parte di quello orientale fino a ovest di Cipro, per oltre 600.000 miglia quadrate. In circa 4 settimane, hanno partecipato all’esercitazione 50 navi, 6 sottomarini, 63 velivoli, due distaccamenti di forze speciali e quasi 300 mezzi anfibi tra veicoli e mezzi da sbarco appartenenti di 10 diverse marine di cui 9 appartenenti alla NATO. La dimensione internazionale è stata arricchita da osservatori e personale di staff inviati da 16 ulteriori Marine. Altrettanto ampia è stata la partecipazione a livello interforze, con reparti e velivoli dell’Esercito italiano integrati nella forza anfibia nonché velivoli dell’Aeronautica militare, alcuni dei quali imbarcati sulla portaerei Cavour. Significativa anche la presenza di unità navali e velivoli della Guardia di Finanza e elementi di collegamento dell'Arma dei Carabinieri».
Ma non c’erano solo militari o sbaglio?
«No, infatti. Con noi c’erano il Dipartimento della Protezione Civile affiancato dal Corpo delle Infermiere Volontarie, dal Corpo Militare della Croce Rossa ausiliario delle Forze Armate e dal Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta. Tutte queste importanti organizzazioni hanno avuto un ruolo cruciale nella realizzazione di una struttura medico-sanitaria di emergenza per addestrarsi a fronteggiare un evento calamitoso che rendeva nella simulazione inutilizzabili gli ospedali locali. Interessante l’interazione con le strutture medico-sanitario imbarcate sulla nave Vulcano che per l’occasione è effettivamente entrata in porto in analogia a quanto fatto alcuni mesi fa in Egitto per portare soccorso alle popolazioni di Gaza colpite dal conflitto in corso».
Avete anche coinvolto le università?
«Abbiamo integrato nei nostri staff anche 65 studenti che sono stati imbarcati con noi in virtù di accordi di collaborazione tra la Marina e 15 diversi atenei, e personale del Centro Studi Internazionali, del Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima e del Centro Alti Studi della Difesa. Grazie al lavoro congiunto di oltre 180 persone, militari e civili, abbiamo creato uno scenario complesso in cui interagivano in modo fittizio simulato organizzazioni internazionali, organi di stampa e pubblica informazione, agenzie del cluster marittimo e naturalmente le Marine di diversi paesi. In questo scenario ci siamo addestrati nell’attacco e nella difesa di formazioni navali, sia aerei sia utilizzando i sottomarini. Abbiamo simulato azioni di sabotaggio delle infrastrutture subacquee e le operazioni di minamento e sminamento durante le quali abbiamo anche individuato e iniziato a neutralizzare ben 16 mine reali, residuati bellici della Seconda Guerra Mondiale ma ancora intatte nella loro pericolosità, soprattutto per i nostri pescatori. Oltre alla sorveglianza dei fondali, utile anche per accrescere l’effettivo monitoraggio dell’immensa rete di infrastrutture critiche che vi si trovano – tra cavi sottomarini, gasdotti e oleodotti – un altro settore strettamente legato all’economia in cui ci siamo addestrati è stato quello del controllo dei traffici marittimi in una situazione di conflitto. In questo caso abbiamo fatto in modo che lo scenario prevedesse per i contendenti la necessità di scortare alcuni carichi vitali e quindi di ispezionare le navi mercantili in alto mare per prevenire e contrastare il contrabbando di guerra».
Insomma tutte situazioni molto vicine alla realtà dei fatti che trovate in mare durante il vostro lavoro…
«Certamente. Nulla viene lasciato al caso. Le direttive derivano dal vertice della Difesa, il Ministro Crosetto, e poi a scendere vengono declinate dallo Stato Maggiore della Difesa. I temi specifici da sviluppare nel corso dell’esercitazione e gli obiettivi addestrativi da conseguire vengono quindi definiti, con largo anticipo, dal Capo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Enrico Credendino, proprio sulla base delle effettive esigenze costituite dalle attività operative in corso associate agli impegni futuri previsti per la Marina. A quel punto subentra la delega a me della pianificazione e dell’esecuzione dell’esercitazione»
La collaborazione con le Marine straniere?
«Faccio accenno allo straordinario contributo che abbiamo ricevuto dalla Marina francese e da quella spagnola, rispettivamente con 2.800 e 1.400 tra uomini e donne. Particolarmente rilevante, anche per la sua durata, l’apporto francese che ha visto, per la prima volta nella storia, l’intero gruppo d’attacco della portaerei nucleare Charles de Gaulle integrato nell’esercitazione Mare Aperto, con altre 6 navi, 26 velivoli e un sottomarino nucleare. Ciò ha consentito un confronto in mare tra forze opposte di analoghe capacità, entrambe dotate di un gruppo portaerei».