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Puglia, il modello lucano per far restare l'acqua pubblica: ecco come hanno fatto in Basilicata

 
massimiliano scagliarini

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massimiliano scagliarini

Puglia, il modello lucano per far restare l'acqua pubblica: ecco come hanno fatto in Basilicata

la sede dell'Acquedotto pugliese

Dopo l'impugnazione della legge regionale su Aqp da parte del governo. I ministeri: non si può emendare, va abrogata

Venerdì 31 Maggio 2024, 08:27

BARI - La legge regionale 14 che a marzo ha stabilito la cessione ai Comuni del 20% delle azioni di Acquedotto Pugliese è considerata non emendabile dal ministero degli Affari regionali, che ha condotto l’istruttoria alla base dell’impugnativa stabilita mercoledì da Palazzo Chigi. Nè tantomeno è possibile, per vincoli normativi, che Aqp partecipi alla gara d’appalto per stabilire chi gestirà il servizio idrico integrato dopo il 1° gennaio 2026, data di scadenza della concessione «ope legis» di Acquedotto. Allo stato l’unica possibilità per ricorrere all’affidamento in-house è che i Comuni creino una propria società senza la Regione.

La titolarità del servizio idrico è infatti delle amministrazioni comunali. E all’autorità d’ambito (che raccoglie tutti i Comuni) spetta la scelta su come operare tra le possibilità previste dalla legge: gara pubblica, società mista, affidamento in-house. La Regione in tutto questo non ha alcun ruolo, se non quello - straordinario - che le era stato affidato dal decreto legge con cui nel 1999 il governo trasferì a Puglia e Basilicata l’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese, di proprietà del ministero del Tesoro, previa trasformazione in «spa», assegnandone le azioni in proporzione alla popolazione.

L’esempio è proprio la Basilicata, che nel 2002 ha venduto le sue azioni di Aqp alla Puglia. Nello stesso tempo un certo numero di sindaci lucani ha costituito una nuova società, Acquedotto Lucano, interamente partecipata dai Comuni. In questo modo l’Ato Basilicata ha potuto affidare ad Aql, per trent’anni, la gestione in-house: Acquedotto Lucano ha assorbito sia il personale lucano di Aqp, sia quello che lavorava per le singole gestioni «in economia» dei Comuni. I conti non sono in ordine, ma è un discorso diverso.

Il modello seguito dalla Basilicata è infatti pienamente rispettoso dei vincoli della legge statale e delle norme comunitarie: la Regione si è limitata a fare da arbitro, scrivendo le convenzioni che hanno regolato il passaggio del personale, e non ha azioni della società.

La Puglia ha 257 Comuni, quasi il doppio di quelli lucani, e metterli d’accordo tutti è una impresa. È il motivo per il quale la legge 14 impugnata ha introdotto il meccanismo della newco e del consorzio obbligatorio tra Comuni: anche chi non firma e non conferisce le sue azioni viene cooptato nel veicolo societario che dovrebbe esercitare il controllo su Acquedotto Pugliese. Il problema - hanno spiegato i ministeri degli Affari europei (Fitto) e della Giustizia (Nordio) - è però, appunto, la presenza della Regione: che da un lato non può modificare quanto disposto dal decreto del 1999, dall’altro - dopo il 2025 - non può mettersi a gestire servizi idrici (con Aqp), perché non le spetta e non può fare concorrenza al mercato.

Sono ragionamenti che alla Regione certamente non sfuggono. E non è un caso se alla riunione dell’Anci che venerdì scorso ha dato «linee di indirizzo» per la gestione del servizio idrico abbia partecipato, insieme al presidente dell’Autorità idrica, anche il segretario generale della giunta, Roberto Venneri. In quella sede Aip ha ribadito che la scelta dell’affidamento in-house «sarebbe giustificato e porterebbe dei benefici per la collettività, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche».

L’Aip deve avviare entro giugno le procedure per l’affidamento del servizio idrico. Se sceglierà - come pare - di proseguire sulla strada dell’in-house, dovranno essere i Comuni a creare la società totalmente pubblica di cui parla la delibera dell’Anci (votata da 121 amministrazioni), assorbendo in un secondo momento personale e mezzi di Acquedotto Pugliese. L’unica alternativa, al momento, sarebbe forzare la mano e dare esecuzione alla legge impugnata. Sapendo però che se dovesse arrivare una sentenza negativa della Corte costituzionale, tutto precipiterebbe nel caos.

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