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Porti, navi e tasse, Patroni Griffi: «Ora basta con l’euro-tafazzismo»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Porti, navi e tasse, Patroni Griffi: «Ora basta con l’euro-tafazzismo»

Il presidente Adspmam contro la misura green dell’Ue che affonda gli scali del Sud: non ha senso

Domenica 01 Ottobre 2023, 08:07

Vi ricordate di Tafazzi, il celebre personaggio interpretato dal comico Giacomo Poretti? Un buffo signore vestito di nero che saltellava qua e là cantando e colpendosi le parti basse con una bottiglia di plastica (per i più smemorati alleghiamo foto in basso a destra). Una sorta di simbolo, riuscitissimo, dell’autoflagellazione divertita, del masochismo gaudente. Lo stesso di cui sembra bearsi l’Unione Europea, già verdissima in partenza, quando vara misure «ecologiche» che spostano di poco o nulla gli equilibri ambientali del mondo ma flagellano inesorabilmente l’economia dei suoi Stati membri. Soprattutto di quelli meno ricchi.

Non è un caso che Ugo Patroni Griffi - presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Meridionale (Adspmam) - usi la definizione di «euro-tafazzismo» per bollare la tassa Ue che colpisce gli approdi europei delle grandi navi porta-container (quelle sopra le 5mila tonnellate). Come già spiegato nei giorni scorsi su queste pagine, se una imbarcazione proveniente da Oriente fa scalo a Gioia Tauro o Taranto per poi concludere la rotta ad Anversa paga due volte. In Italia e in Belgio. Se invece sceglie, come intermedia, una tappa nordafricana - ad esempio Port Said in Egitto - dovrà sborsare solo all’arrivo nel Nord Europa. E dunque, addio Mezzogiorno.

Presidente Patroni Griffi, perché parla di «euro-tafazzismo»?

«Se noi guardassimo il mondo nel suo complesso vedremmo che l’Ue contribuisce alle emissioni inquinanti in una percentuale microscopica. Ci sono aree del pianeta in cui si fa il 95% dell’inquinamento, forse il 99% e che non sono minimamente sfiorate da misure come quella sulle navi che noi, già i più virtuosi in partenza, ci vogliamo autoimporre. Un assurdo».

Qual è il limite secondo lei?

«Il problema sorge quando si recepisce come un mantra l’esigenza di dover ridurre le emissioni ma non ci si accorge delle implicazioni economiche della misura che si sta adottando».

Ecco, vediamole queste implicazioni.

«Parliamo di una misura che danneggia moltissimo il nostro Paese e nello specifico il Sud. Come, d’altra parte, colpisce la maggior parte degli approdi meridionali del continente, da Malta alla Grecia».

Quale può essere l’entità del danno?

«Una realtà come Gioia Tauro rischia di essere spazzata via. E per una regione come la Calabria non mi pare un fatto irrilevante».

E dal punto di vista pugliese?

«C’è preoccupazione per Taranto. Si stanno compiendo moltissimi sforzi per garantire a quella realtà portuale una posizione nell’intermodalità e anche nel transhipment (tecnicamente un’area dove è possibile l’ormeggio ma anche il carico-scarico di grandi navi portacontainer, ndr). Ma, con quella misura, tutti gli sforzi per recuperare le potenzialità inespresse del porto jonico sarebbero tradite».

A vantaggio di chi?

«Dei cosiddetti Paesi Mena, cioè Middle East and North Africa, che ne approfitterebbero enormemente. Le navi magari già dirette nel Nord Europa e lì costrette a pagare la tassa sulle emissioni, per evitare di sborsare due volte, farebbero tappa in Egitto o Marocco dove la tassa non c’è. Anziché in Italia o Grecia. Tra l’altro, le realtà africane sono in enorme crescita ma con un costo del lavoro bassissimo. Una concorrenza già complessa da fronteggiare».

Come se ne esce?

«Facendo squadra, per una volta. Una cosa del genere non può subire le classiche divisioni della politica. C’è l’interesse nazionale in ballo e l’Italia deve farsi valere».

Magari facendo cartello anche con gli altri Paesi mediterranei?

«Non c’è dubbio, l’esigenza è comune e lega territori ancora in transizione che soffrono il fortissimo divario che li separa dal Nord e dal centro dell’Europa. Decisioni come quella di cui parliamo lo allargano ulteriormente. Davvero fatico a trovare un senso».

L’Unione europea le risponderebbe: l’ambiente prima di tutto.

«Ci risiamo. Come ho detto prima, le scelte vanno meditate. Pensiamo alle auto elettriche: l’Europa ha la percentuale più elevata al mondo di questa tipologia di mezzi che però vengono, in larga parte, acquistati dalla Cina, dove le producono inquinando moltissimo con tutti gli effetti sul clima che sappiamo. In sintesi, siamo convinti di fare la nostra parte nel contrasto al cambiamento climatico ma poi le compriamo da lì, quindi stiamo neutralizzando gli effetti di una buona intenzione. E di buone intenzioni, si sa, è lastricata la via per l’inferno».

Vale lo stesso per la tassa sulle grandi navi container?

«I burocrati che l’hanno partorita hanno certamente pensato di fare una cosa buona ma non hanno considerato gli effetti economici. Vede, noi professori di Diritto commerciale lo sappiamo bene, all’estero si insegna una materia che si chiama “Law and economics”: il messaggio è che quando fai una legge devi meditarla, devi capirne le implicazioni. E se per caso gli effetti di quella legge sono devastanti per l’economia forse vuol dire che è meglio non approvarla».

Alla fine, presidente, la morale qual è?

«La difesa dell’ambiente è sacrosanta ma non deve assumere tratti autolesionistici né aprire la strada a realtà molto più inquinanti della nostra. Perché questo è quello che succede. L’euro-tafazzismo, appunto. Ma gli italiani hanno un vantaggio».

Sarebbe?

«Tafazzi l’abbiamo inventato noi, siamo i massimi esperti. E ora ci tocca spiegare agli altri come evitare questa deriva».

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