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Di nuovo alla Consulta lo stop all’abuso d’ufficio

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Di nuovo alla Consulta lo stop all’abuso d’ufficio

La Cassazione: «Cancellare quel reato potrebbe violare la convenzione Onu»

Giovedì 27 Febbraio 2025, 10:15

L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio viola due articoli della Costituzione Italiana e anche gli obblighi per lo Stato di rispettare alcune norme della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione. È quanto ha sostenuto la Vi sezione penale della Corte di Cassazione che nei giorni scorsi ha interpellato la Consulta affinchè si esprima sulla legittimità della legge con la quale il Governo Meloni ha cancellato il reato dal codice penale.

Già in passato diversi Tribunali avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale, ma ora per la prima volta è una sezione della Suprema Corte a chiedere l’intervento dei giudici delle leggi.

In particolare nella valutazione di una prcedimento in cui era contestato il reato di abuso d’ufficio, la sezione presieduta da Giorgio Fidelbo, ha ritenuto di dove rimettere la questione alla corte costituzione perchè valuti «se l’art. 1, comma 1, lett. b), della legge 9 agosto 2024, n. 114, che ha abrogato l’art. 323 cod. pen., violi gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli obblighi derivanti dagli artt. 1, 7, quarto comma, 19 e 65, primo comma, della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’Onu il 31 ottobre 2003, con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 e ratificata con legge 3 agosto 2009, n. 116».

La convezione accettata dallo Stato, infatti, impoone, tra le altre cose, a ciascuno Stato di «adoperarsi conformemente ai principi fondamentali del proprio diritto interno, al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse». Ma in particolare è l’articolo 19 della convenzione che in tema di abuso d’ufficio impone di punire un pubblico ufficiale che abusa delle proprie funzioni o della sua posizione «ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per sè o per un’altra persona».

Una nuova ulteriore vicenda, per la prima volta partita dalla Suprema Corte, finirà quindi all’attenzione della Consulta che dovrà decidere l’abuso d’ufficio dovrà o meno restare fuori dal codice penale.

Il primo Tribunale a sollevare la questione di legittimità costituzionale è stato quello di Firenze che a settembre 2024 inviò gli atti a Roma a distanza di circa un mese dall’entrata in vigore della norma voluta dal Guardasigilli Carlo Nordio. La riforma è diventata legge ad agosto, con la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

L’abolizione dell’abuso d’ufficio aveva sollevato molte polemiche e obiezioni. E il sospetto della sua incostituzionalità è poi finito nero su bianco a firma dei magistrati fiorentini che hanno chiesto l’intervento della Consulta. In quel caso tutto partì dall’istanza dell’avvocato di parte civile Manlio Morcella nell’ambito del processo che coinvolgeva un’impresa produttrice di cemento in cui è imputata, tra gli altri, l’ex procuratrice aggiunta di Perugia Antonella Duchini. Anche l’istanza dell’avvocato Morcella, ritenuta dai giudici «non manifestamente infondata» ipotizzava una violazione degli articoli 11 e 117 della Costituzione, che impongono all’Italia di rispettare gli obblighi di diritto internazionale.

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