Professor Franco Cardini, autore dei libri di straordinaria attualità «Gaza. Nulla sarà come prima» (Il Cerchio) e «I confini della storia» (Laterza), in questa settimana in tour per presentazioni in Puglia, l’insediamento di Donald Trump è stato preceduto da una tregua in Medio Oriente. Che cambio di paradigma si può prevedere nella prossima politica internazionale?
«Trump mira alla perfetta incollatura del cerchio auspicata da Monroe, l’America agli americani, puntando all’unione di tutti i membri anglofoni del suo territorio. Coincideranno gli Stati Uniti d’America e l’anglofonia, mentre il Sud America resterà il giardino di casa degli Usa. Il presidente guarderà al Canada per ampliarsi, proporrà una entrata ufficiale anche a Panama, senza far più il gendarme globale del mondo».
Per Nato ed Europa…
«Chi si è appoggiato a Washington vedrà come “la pacchia e’ finita”. C’è l’inversione del canone politico della politica estera della Nato, ovvero degli Stati Uniti. Trump riflette sulla Nato da tempo. Potrebbe uscirne? No, la farà saltare».
Giorgia Meloni volerà negli Usa per l’insediamento. L’Italia ponte tra Ue e Usa è solo una formula astratta o una strada diplomatica praticabile?
«Nemmeno per idea. Meloni è l’unica politica in Italia, chapeau. È rimasta però la vecchia malattia italiana, quella di un piccolo Paese: non abbiamo la sovranità e ci si adatta alla grande con gli Usa che hanno forza economica e militare. Giorgia è stata il pilone dell’alleanza tra Ue e Biden ed è passata con l’assenso dell’ex presidente, che giocava con la piccola Ginevra, a Trump. È un continuità della politica americana che va al di sopra dei presidenti che cambiano. L’Italia, se vuole contare, non può appoggiarsi se non agli Usa. L’asse di Giorgia con Trump? Lei è la pedina d’oro all’interno dell’Ue».
Cosa comporta?
«L’Ue può saltare o rafforzarsi con la leadership italiana, con una rinnovata alleanza tra Ue e Usa. Meloni, una volta “brutto anatroccolo”, ha scalzato Macron, con cui si detestava vicendevolmente, e ha superato anche tedeschi. Affermando il primato italiano, appoggiando la politica estera Usa, con una scelta di campo precisa e buoni rapporti con Mosca. Ecco, tra poco vedremo la Meloni a Mosca…».
In Medio Oriente?
«Ci sarà un rafforzamento della politica anti-iraniana e la scelta di buttare l’Iran in bocca alla Cina, rafforzando l’intesa tra Teheran e il Brics. In una dicotomia Usa-Brics, l’Ue sparisce. Ma agli europei non importa, perché esisteranno i singoli stati europei, con gli accordi bilaterali con gli Usa. E l’Italia avrà meno dazi possibili, proseguirà la follia dell’acquisto del metano liquido a prezzo di favore da Trump. Di fatto anche il Brics crescerà esponenzialmente. Spero, in un futuro che forse non vedrò, che anche l’Italia possa entrare nel Brics…».
Qualcuno la definisce «antiamericano», ma leggendo «I confini della storia», le cose stanno in un’altra maniera.
«Sono un innamorato dell’America, che ha creato un altro tipo di cultura e di musica, che ci ha arricchiti. Gli americani non hanno potuto fare quello che sperava la destra europeizzante: ovvero gli Usa come nuova Europa. Non ho mai mangiato o bevuto americano, ma vedo film Usa. È parte dei miei orizzonti ma non auspico una americanizzazione del mio paese. Resto eu-ro-peo. E se l’occidente è anglosfera, resto europeo, continentalista e euroasiatista, nella speranza di un rispetto reciproco tra americani ed europei, con una nostra indipendenza che avrebbe benefici etici ed esistenziali, guardando ad Asia e Africa».
C’è chi descrive una internazionale sovranista da Trump alla Weidel, a Orban e alla Meloni… Una destra globale?
«Sono stato di “destra mistica”, come mi ha insegnato il mio maestro Attilio Mordini, mai di destra. Essere a destra significa stare a destra del padre. La vera divisione del mondo è tra chi ha un’idea sacrale e del principio trascendente, come diceva Giovanni Paolo II, e chi ha una idea puramente immanente che porta al consumismo e alla dittatura dell’iper capitale».
Il tecnocapitalismo di Musk?
«Temo che nessuno possa limitare il tycoon. E non va nemmeno demonizzato. È una variante dell’ultimo stadio, quello più recente, della distruzione progressiva del senso della cosa pubblica, che è cominciata con la modernità stessa, con la perdita del limite a favore di un estremo individualismo. La modernità è la caduta della “D” di Dio. Resta l’io, l’ego come simbolo della modernità, negazione della solidarietà. L’ipercapitalismo attuale elimina lo stato come ultima difesa della cosa di tutti davanti ai desiderata dei privilegiati».
















