Prendete una penna e iniziate a unire i puntini. Sommariamente i fatti sono questi: sul caso Santanché il Carroccio si smarca dalla difesa d’ufficio del ministro, sul Mes i toni leghisti sono ben poco concilianti in una fase di complessa trattativa con Bruxelles. Poi sulla durata in carica dei governatori Matteo Salvini - consapevole della freddezza dell’alleata a Palazzo Chigi - apre al terzo mandato. Il disegno che emerge non può non apparire nitido: è iniziata la competizione nel centrodestra in vista delle prossime elezioni europee. La Lega, dopo il risultato in risalita nelle regionali del Friuli, cercherà di insidiare il primato di Fratelli d’Italia con una serie di distinguo e controcanti che potrebbero rendere sempre più elettrici i rapporti tra alleati.
Salvini, con un po’ di malizia, ha lanciato la proposta del terzo mandato proprio in Campania. Mai luogo fu più propizio. Oltre a cogliere di sorpresa i meloniani, ha creato anche panico nella segreteria dem di Elly Schlein: a Napoli il governatore progressista Enzo De Luca freme per la terza corsa alla presidenza, mentre la sua leader non ne vuole sapere.
Oltre la dialettica politologica, però, ci sono gli iter parlamentari da rispettare. Nella commissione affari costituzionali è in corso la discussione sul nuovo “Testo unico degli enti locali”. La riforma ipotizzata del centrodestra prevede certamente il ritorno dell’elezione diretta di consigli provinciali e presidenti, ma anche una serie (al vaglio) di innovazioni per i Comuni (come l’elezione diretta per i sindaci in un solo turno ma con consensi oltre il 40%). Sulla prospettiva di cambiamento la maggioranza ha i numeri per essere autosufficiente, ma il tentativo di allargare la base dei sostenitori rientra in un percorso di condivisione che sarà tentato fino alla fine. In questo percorso il Pd prova a inserire il terzo mandato (per i sindaci, avendo un indiscusso predominio municipale). La Lega, invece, spinge “pro domo sua”: nelle regioni ha Fontana e Fedriga al secondo mandato, Zaia addirittura al terzo. Far saltare il limite toglierebbe dalla scena una serie di rivali del “Capitano”, relegandoli nelle faccende - pur prestigiose - delle varie regioni. Forza Italia è contraria ai terzi mandati, sia nei Comuni che nelle Regioni. In Fratelli d’Italia pubblicamente nessuno si sbottona, ma la prospettiva di avere in Puglia per la terza volta come rivali Emiliano e il sindaco di Bari Antonio Decaro non genera evidentemente salti di gioia.
C’è inoltre la moltiplicazione di posizioni prestigio alimentata dall’acquisito ritorno delle province: con la nuova legge ci sarebbero da individuare nelle due maggiori coalizioni candidati dalla presidenza per le sei province pugliesi. E i giochi sono già partiti.
Sul terzo mandato, però, mai fare i conti senza l’oste (ovvero i numeri parlamentari): con queste fibrillazioni interne alle coalizioni (ma la Lega non strapperebbe mai sul terzo mandato) o ai partiti (il Pd in primis) ogni previsione si potrebbe rivelare fallace. Senza dimenticare che l’ultima parola, nel centrodestra, spetta al dominus del fronte conservatore, ovvero Fratelli d’Italia del premier Giorgia Meloni.
SENZA L'ATTUALE LIMITE TEMPORALE EMILIANO E DECARO RESTANO IN CAMPO
L’eventualità di un terzo mandato per il governatore Michele Emiliano potrebbe far saltare gli schemi in divenire nel centrosinistra pugliese. Con il presidente della Regione alla fine del suo decennio sul Lungomare, il campo progressista da tempo è orientato alla staffetta con Antonio Decaro, leader Pd e presidente nazionale dell’Anci. Il voto per rinnovare il parlamentino di Via Giovanni Gentile, però, calendario alla mano, dovrebbe arrivare nel 2026, e così il sindaco di Bari nel 2024 si prepara al rodeo delle elezioni europee nelle liste dem (nel 2019 non fu eletto nessun pugliese a Bruxelles, con Elena Gentile che mancò la conferma per una manciata di voti): ha già tenuto incontri in Calabria, Campania, Basilicata e Abruzzo, regioni determinanti nell’esito finale della conta nella circoscrizione meridionale per l’Ue.
La passione per il terzo mandato, però, unisce sia Emiliano che Decaro, a dispetto delle aspirazioni per Palazzo di città a Bari di uno stuolo di papabili per la fascia tricolore: dal deputato Marco Lacarra agli assessori Pietro Petruzzelli e Paola Romano, passando per l’ex parlamentare Vito Leccese, per il manager emilianista Antonio Vasile e per il medico progressista Nicola Laforgia (già assessore alla cultura). Se anche Decaro avesse la chance per il tris verrebbero archiviate - insieme alle prospettate primarie - le ipotesi di nuovi spazi per una classe dirigente ex-giovane che da tempo aspetta il proprio turno per un incarico apicale, finora appannaggio dei due dioscuri baresi.
Nella riforma meloniana degli enti locali, però, c'è anche l’introduzione dell’elezione diretta dei presidenti di provincia e di città metropolitana. Sono ben sei ambitissime posizioni, in particolare perché la città metropolitana di Bari insiste su un territorio nel quale la maggioranza larga dei sindaci è progressista. Per questo qualcuno ipotizza (senza alcuna conferma dal dietro interessato) anche la suggestione di Decaro candidato alla guida della città metropolitana barese, al fine di corroborare una proposta di candidatura a sindaco che si sconterebbe con il forte vento di centrodestra che spira nel Paese.
In attesa del responso delle commissioni parlamentari dedicate agli affari istituzionali, e stante la ridda di voci, indiscrezioni e dichiarazioni (Emiliano ha anche ipotizzato di andare «a fare il nonno» pur dichiarandosi «a disposizione della comunità», mentre Decaro ha ricordato di avere una scrivania che lo attende all’Anas), non si può escludere che questo dibattito - molto per addetti ai lavori o esperti di ingegnerie delle assemblee elettive - generi disorientamento tra gli elettori, alla ricerca di volti, storie e progetti che possano scaldare i cuori (alimentando le gambe poi per andare a votare nei seggi sempre più disertati).