POTENZA - «In questo lavoro una delle cose più drammatiche è entrare letteralmente nelle case delle persone. Una delle cose più difficili del soccorso in catastrofe è che entri a gamba tesa in una quotidianità spezzata, in cui non sai prima cosa tu possa trovare. Vedi le foto di una famiglia felice. Vedi il peluche di Minnie e sai che apparteneva ad una bambina, con una sua vita, una sua storia. È difficile da spiegare con le parole».
Il racconto, fino a quel momento fluido, diventa faticoso. Il fiato si spezza come quelle vite che un soccorritore spera sempre di riportare alla luce ma che, spesso, hanno esalato l’ultimo respiro prima del suo arrivo. Nelle parole di Erwan Gueguen, francese di nascita e lucano di adozione, conosciamo l’altra Ischia, quella di chi ha cercato, direttamente dal ventre della tragedia, di mettere la sua esperienza a servizio delle ricerche delle persone disperse. Gueguen vive da diversi anni a Potenza, è un geologo, lavora al Cnr e si occupa di rischio. Attualmente è vice presidente del Soccorso Alpino e Speleologico di Basilicata, si occupa in particolare (ma non solo) delle unità cinofile. A Ischia è arrivato a poche ore dalla frana dello scorso 26 novembre assieme al suo cane Dwynn, un pastore belga malinois. «In quegli stessi giorni si teneva una grossa esercitazione in Veneto ed io avrei dovuto partecipare - ci racconta - poi, per impegni a Potenza, non sono partito. L’allertamento per Ischia è avvenuta su richiesta dei Vigili del Fuoco che hanno chiesto al Dipartimento nazionale della Protezione Civile di avere a disposizione dei cani da catastrofe. Hanno così chiamato il Soccorso Alpino e il Soccorso Alpino della Guardia di Finanza. Chiaramente, in un primo momento, fanno partire i cani geograficamente più vicini. Ci tengo a dire che è stata straordinaria la collaborazione di tutti i reparti».
Erwan e Dwynn sono partiti la domenica mattina alla volta dell’aereoporto di Napoli, dove ad attenderli c’era un elicottero del settore reparto volo della Polizia di Stato. «Sono arrivato a Casamicciola, dove sono rimasto tre giorni - spiega -. Abbiamo subito raggiunto il centro di coordinamento dei soccorsi tutto intorno c’erano auto devastante, sangue. Io ed Dwynn siamo andati nella parte più alta a fare delle ricerche, oltre la villetta in bilico col tetto verde. I soccorsi erano concentrati inizialmente nella casa dei tre fratellini perché i cani della Guardia di Finanza avevano già confermato la presenza umana lì sotto».
«Era impressionante - continua - perché era tutto una distesa di fango e c’erano pezzi di alberi ovunque. E non tronchi, ma proprio pezzi di alberi letteralmente maciullati. C’erano due tettoie che uscivano dal fango. Man mano che salivamo ci rendevamo conto della devastazione. È come se le case fossero letteralmente esplose».
«Siamo concentrati su quello che facciamo, è come bloccassimo tutti i pensieri quando operiamo in questi scenari - dice - ma non ci si abitua mai. Ed è anche un bene questo. Perché è giusto e importante mantenere l’empatia nei confronti delle persone che cerchiamo e questo ci consente di dare il meglio di noi stessi. E’ ovvio che la speranza è sempre quella di portare a casa persone vive. Ma spesso le famiglie delle persone che cerchiamo e che non sopravvivono cercano anche solo un corpo da poter piangere. Ecco: per noi la vera disfatta è non portare a casa nessuno».