POTENZA - Pandemia e conflitto in Ucraina svuotano le tasche dei lucani. Nel primo semestre di quest’anno, infatti, una coppia con almeno un minore a carico ha perso qualcosa come 1.240 euro di potere d’acquisto. Non sono spiccioli. Tanto più che accanto a una minore capacità di spesa c’è il tema della perdita di posti di lavoro, circa 3mila dal 2020 ad oggi.
Virus e guerra, dunque, presentano un conto salato. E in costante aumento. Contribuiscono a innalzare il livello dell’indigenza in Basilicata che, ormai, ingloba anche professionisti, imprenditori, impiegati, commercianti, ristoratori, titolari di palestre, categorie che nell’immaginario collettivo sono al riparo da problemi economici. Molti di loro, tra commesse perdute, crollo di fatturato e fallimenti, non arrivano a racimolare quei 936,58 euro mensili considerati dall’Istat come il limite della moderna decenza umana.
Gli indicatori economici più aggiornati sono preoccupanti: il Pil regionale ha perso l’8,5 per cento, il reddito delle famiglie si è ridotto del 2,1 per cento. Di qui il contestuale crollo dei consumi scesi nella misura dell’11,7 per cento in un solo anno. L’unica voce in aumento è quella dei depositi bancari (+10,8 per cento), chiaro segno di una percezione incerta del futuro. Si tratta di dati dell’ufficio studi della Uil che ha elaborato il quadro generale pubblicato dall’Inps. In assoluto oggi la Basilicata conta 187mila occupati, dato che riporta indietro la base occupazionale lucana, non recuperando il volume dei posti di lavoro pre-Covid quantificati in 190mila addetti.
Si registra, in particolare, una marcata riduzione dell’occupazione maschile, mentre quella femminile appare in costante crescita. Nel 2021, nonostante il virus imperversasse ancora, c’è stata una ripresa testimoniata dalle attivazioni di contratti alle dipendenze: nei primi sei mesi dello scorso anno, secondo i dati delle Comunicazioni obbligatorie, sono state promosse in Basilicata circa 27mila attivazioni nel settore privato non agricolo, a fronte di circa 18mila cessazioni; il saldo (attivazioni nette) è risultato pertanto positivo per circa 7,9mila unità, un dato superiore al 2019 ed anche al 2020. Intendiamoci, però. Aspettando i dati relativi al 2022, con la guerra in Ucraina che ha impattato su un contesto già provato dalla crisi e dal Covid, va detto che la «vivacità» assunzionale del mercato del lavoro in Basilicata resta fortemente condizionata dalla crescita di forme di lavoro precarie stagionali, a termine.
Troppi precari, insomma, in uno scenario, quello industriale, che lancia segnali di sofferenza. Ciò che preoccupa oggi è soprattutto la carenza di materie prime, in particolare nei settori siderurgico e automobilistico, ovvero la spina dorsale della nostra imprenditoria. Ne sa qualcosa Stellantis che a Melfi, come negli altri suoi stabilimenti, continua a produrre a scartamento ridotto. Il mancato arrivo da Kiev di semilavorati (l’Italia ne fa un gran uso) sta determinando il blocco - per ora a singhiozzo - non solo delle aziende ma anche dei cantieri.
Qui s’inserisce l’altro aspetto della questione: se il Pnrr si esplica nelle opere pubbliche ecco che il quadro generale non può non generare apprensione. Il rischio è di tardare sulla tabella di marcia individuata da Bruxelles e, quindi, di perdere i finanziamenti. E c’è chi nella campagna elettorale che volge al termine (si vota domani), parla della necessità di rimodulare il Pnrr alla luce dei nuovi avvenimenti che stanno devastando l’economia su larga scala. Nato per un’emergenza (la pandemia), dovrà fronteggiarne due. Mettere mano a un lavoro già fatto non è semplice. Ecco perché a Bruxelles come a Roma il tema è un tabù. Ma la guerra impone un intervento in corsa.