POTENZA - La Pasqua sulle tavole dei lucani racconta di una cucina povera ma ricca di sapori genuini. Anche nel 2022, saranno i piatti tradizionali del territorio a prevalere, scelti nell’80% dei casi. A partire dall’agnello, che resta un classico del pranzo di Pasqua. Ma i lucani non rinunceranno anche alla pastiera e alla torta Pasqualina. Tradizioni antiche che ricorrono nella memoria delle vecchie generazioni e che i giovani vogliono recuperare, cercando tra le vecchie ricette delle madri e delle nonne i piatti semplici e genuini che non dovevano mai mancare sulla tavola di Pasqua. Ricordi belli di ragazzo quando le mamme regalavano alle donne la Pupa (la bambola) e ai maschi «’U panar’», il paniere con le uova sode incastonate nell’impasto. «Sono nato nel 1934, mia mamma faceva una Pupa molto artistica imitando il costume di Avigliano con confetti piccolissimi e anche il costume delle donne di Potenza. Per noi bambini era una gioia vederla realizzare dei veri capolavori».
La colazione Non in tutta la Basilicata la giornata di Pasqua si apre con la famiglia tutta riunita per la colazione. Un rito che sopravvive ancora in alcuni centri lucani e alle falde del Pollino, a Viggianello. Una tradizione che si tramanda da generazioni ed è il primo importante momento di condivisione familiare. La festa comincia intorno ad un’enorme frittata, preparata dalle donne, secondo l’antica tradizione sul caminetto e con i tegami di una volta. Uova, mollica di pane, «paddaccio» (il tipico formaggio ovi-caprino a forma di palla), salsiccia, verdure campestri saltate, pecorino. Un tripudio di sapori per la famiglia che si stringe intorno al capo famiglia e che comincia con il «bacia mano» del nonno in segno di devozione e di rispetto verso il «pater familias».
Un gesto di altri tempi, ma in un contesto moderno diventa la festa della famiglia che prelude alla preparazione del pranzo di Pasqua con i «rascatiedd’», la tipica pasta fatta in casa, condita con il sugo e la ricotta salata grattugiata, mentre gli uomini si occupano della brace per l’agnello arrostito con le patate ai sapori delle erbette del Pollino. E per finire, pizza rustica e pastiera secondo l’antica ricetta che si tramanda da generazioni.
Il menù della Chef La preparazione del pranzo di Pasqua è iniziata già da qualche giorno con la realizzazione delle pastiere, per la chef di Potenza, Tiziana Lopardo, o come orgogliosamente ama definirsi: «la cuoca». È lei che lanciò qualche anno fa l’hamburger lucano, la sfida ai tanto gettonati fast food con la «strazzata» (termine dialettale che sta per «strappata con le mani»). La focaccia della tradizione gastronomica del mondo rurale aviglianese, che risale all’inizio del 1800 e la cui caratteristica principale è che nel suo impasto viene mescolata una piccola quantità di pepe nero, si candidava a competere con il famoso panino con l’hamburger. Farcita con macinato di podolica, la «strazzata», con l’aggiunta di insalata verde, melanzane sott’olio, pomodori secchi di Tolve, olive di Ferrandina e stracciatella diventava nelle mani della chef potentina l’«hamburgher lucano».
L’antipasto Una sinfonia di gusto apre il pranzo pasquale. In ogni suo piatto la chef Tiziana Lopardo è impegnata a raccontare il territorio della Basilicata attraverso i suoi prodotti tipici. Ne vengono fuori ricette che guardano alla tavola dei contadini, ma si impreziosiscono in una raffinata rivisitazione della cucina lucana. Per gli antipasti la chef propone la tradizionale pizza rustica, la meglio nota «Pasqualina», ripiena di ricotta podolica, salsiccia lucanica, formaggio e uova sode, insaporita con verdure di stagione o erbette di campo. Quindi un carpaccio di petto di oca agli agrumi della piana di Policoro, accompagnato da champignon ripieni e muffin agli asparagi selvatici.
La lasagna alla lucana La pasta al forno con sfoglia stesa a mano, secondo la tradizione, con diversi strati in cui si alternano polpettine di carne di vitello podolico, mozzarella, formaggio e uova sode condita con il classico ragù, dalla lenta e lunga cottura, che non può mai mancare nel pranzo della domenica.
L’agnello È dalle Dolomiti lucane che arriva l’agnello tipico della tradizione pasquale. La chef Lopardo lo propone in chiave moderna, avvolto in una crosta di pistacchi di Stigliano su una fonduta di pecorino di Filiano o di Moliterno, o in un’altra variante di caciocavallo di podolica delle aree interne del Potentino. Ad accompagnare l’agnello, funghi cardoncelli di Calvello e patate soffiate. Una lavorazione molto moderna, particolarmente scenica che vede la patata gonfiarsi in frittura come un palloncino.
La pastiera Il pranzo di Pasqua non può che chiudersi con il dolce tipico pasquale: la pastiera. La sua preparazione comincia già dal giovedì santo con la realizzazione della pasta frolla. Ripieno con ricotta, grano e canditi, aromatizzata con fiori d’arancio conquista anche i palati più esigenti e raffinati.
La pasquetta La scampagnata del lunedì dell’Angelo si lega ai ricordi delle vecchia chiesetta di Betlemme. Ognuno portava qualcosa, magari gli avanzi di Pasqua. Si stendeva la tovaglia vicino alle cascatelle, si correva nel prato e si giocava a pallone. Ricordi di spensierata giovinezza quando «tutto era semplice e bello», ma anche buono e genuino come il panino con la frittata e la «ciambotta». La memoria scorre sul web sulla pagina di Potenza turistica e si arricchisce delle emozioni del passato, mai così attuali anche nella Pasquetta di oggi. «Mia madre tagliava dalla panella il famoso “scorzino” (taglio di inizio della panella). Lo svuotava della mollica e lo riempiva con la ciambotta di peperoni, per richiuderlo con la stesso pezzo di mollica che faceva da tappo».
Pasto povero e prelibato «Che sapori, che odori che oggi ho dimenticato». Ma che rimangono indelebili nei ricordi di chi ha lasciato la Basilicata costretto ad emigrare. «L’ultima volta che ho mangiato la ciambotta era nei primissimi anni Sessanta, quando mia madre era ancora viva». «Anche se l’acqua era fredda ci bagnavamo i piedi nel fiume. Nel pomeriggio si faceva visita alla chiesetta poi tutti a casa felici. Ci accontentavamo con poco, ma io non cambierei mai la mia gioventù con quella di oggi».