POTENZA - Il Covid-19 rallenta anche l’avvio dei lavori sul Ponte Musmeci, la più importante infrastruttura del secondo Novecento, porta di ingresso di Potenza. Dopo l’individuazione a fine settembre del team italo-svizzero, quale vincitore del concorso di progettazione in due fasi, indetto dal Comune capoluogo per il restauro conservativo del Ponte Musmeci, la graduatoria definitiva e l’assegnazione dei premi ai vincitori ha subito un rallentamento. «È in corso la verifica dei requisiti dei vincitori del concorso e in ragione della provenienza estera ci vuole più tempo del solito per ottenere la documentazione secondo la normativa italiana», ha spiegato l’assessore all’Urbanistica del Comune di Potenza, Antonio Vigilante. Ne parliamo con Carmen Andriani, architetto, professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana all’Università di Genova, coordinatrice del team internazionale (capogruppo Ets) vincitore.
A che punto è il progetto?
«Abbiamo prodotto tutta la documentazione. Aspettiamo il via per la fattibilità tecnica ed economica e quindi l’assegnazione dell’incarico. Abbiamo saputo che il Covid-19 ha rallentato le procedure al Comune, ma noi siamo pronti e non vediamo l’ora di tornare e di partire con i lavori. Il 2021 sarà l’anno della svolta e questo ponte diventerà il gioiello non solo di Potenza, ma della Basilicata, dell’Italia e del mondo. È uno degli esempi più significativi di ricerca sul minimo strutturale che sia stata realizzata in Italia e Sergio Musmeci è stato un ingegnere non convenzionale, sperimentatore di forme e di strutture molto avanti rispetto al suo tempo: al Sud c’è il suo capolavoro; il nostro progetto vuole riportarlo alla sua bellezza originaria per poterlo candidare presto ai siti Unesco. È la prima opera di restauro e valorizzazione di una infrastruttura del secondo Novecento tutelata».
Ponte Morandi e Ponte Musmeci: rimozione e conservazione. Sono i poli estremi nell’intervento sul patrimonio infrastrutturale del secondo Novecento. In fondo cosa ci dicono?
«Ci dicono quanto sia urgente fare un censimento di tutte le opere infrastrutturali del secondo Novecento (opere che hanno già tra i 50-60 anni). E ci dicono che occorre manutenzione, cura e, per le opere più significative, valorizzazione e tutela. Basti guardare all’Autostrada del Sole inaugurata nel 1964 dopo solo 8 anni di lavori: quanti ponti e viadotti sono opera di straordinari ingegni italiani. Un vero made in Italy dell’ingegneria che nel secolo scorso si è distinto in tutto il mondo. Morandi, Nervi, Zorzi e il più giovane Musmeci sono stati i pionieri della ricostruzione e del miracolo economico. Ma occorre procedere con una visione di sistema e non per singoli casi, per garantire sicurezza, manutenzione e valorizzazione, quando si tratta di infrastrutture di particolare pregio da annoverare nel patrimonio da tutelare».
E lei ci ha provato anche con il Ponte Morandi, tra i pochi a battersi per salvarlo?
«Purtroppo non era tra le opere tutelate. La rimozione è un modo per cancellare la materia, l’evidenza nel luogo e il ricordo. Una scelta dettata dal trauma emotivo ma anche dalla convenienza politica. Quando è stata indetta dal Commissario straordinario (sindaco di Genova) la consultazione aperta per la ricostruzione; ho partecipato come architetto a un team di ingegneri: il nostro progetto, senza rinunciare al nuovo, salvava il tratto di viadotto con i due stralli, l’invenzione di Morandi, e dopo averlo messo in sicurezza prevedeva un uso a spazio pubblico sopraelevato. Con la demolizione si è persa l’occasione di lasciare una testimonianza utile alla ricerca scientifica degli storici e dei tecnici, per aggiornare conoscenza, metodi e dati e migliorare sistemi di indagine e strumenti di monitoraggio».
Un rischio che non correrà il Ponte Musmeci a Potenza?
«È la prima opera infrastrutturale di architettura contemporanea riconosciuta come bene culturale nel 2003, in quanto espressione di forma continua e unica nel suo genere, organica e moderna. Il riconoscimento della Soprintendenza regionale della Basilicata e del MiBAC, arrivava prima della previsione del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004».
E ora la sfida di mettere mano sul Ponte Musmeci senza intaccarne la sua essenza?
«Un susseguirsi di gusci concavi e convessi, un vuoto ora compresso ora dilatato che ci sospinge da un capo all’altro della città. La potenza della forma plastica che questo ponte realizza è intatta come il “sentimento di adesione” che Musmeci si augurava di suscitare in chiunque lo guardasse e lo percorresse, indipendentemente dalla sua cultura tecnica, non guardando ai singoli elementi, ma percependolo come monumentale opera nel paesaggio e paesaggio esso stesso. L’invariante strutturale del linguaggio moderno, scriveva Bruno Zevi nella sua “Guida al codice anticlassico”, riguarda il principio del coinvolgimento di tutti gli elementi architettonici nella orchestrazione statica. Questo vale anche per gusci e membrane e quando nel 1976 il ponte è consegnato, sulle pagine de L’Espresso Zevi lancia il titolo: “Che Artista! Ha fatto un ponte!”. Io sono stata allieva di Bruno Zevi e mi sono formata in questo clima culturale. In più, essendomi da sempre occupata di infrastrutture e delle “forme del calcestruzzo”, pietra liquida del Novecento, ho per questo ponte un debole particolare come architetto prima ancora che come studiosa. Musmeci è stato un geniale anticipatore del processo di ottimizzazione strutturale reso possibile con l’avvento della modellazione digitale. Ha cercato la forma limite sperimentalmente. Purtroppo al suo tempo non è stato compreso, perché rivoluzionava la scienza delle costruzioni, non calcolando una forma data, ma inventando una forma da verificare successivamente con un calcolo avanzato e con modelli sperimentali».
Entriamo nel progetto. Gli interventi proposti sono di tipo conservativo, coerenti con le scelte progettuali di Sergio Musmeci, dal punto di vista strutturale che architettonico. Quindi “contenere al minimo necessario le sostituzioni di materia, privilegiare l’uso di materiali e tecniche originali rendendo tuttavia riconoscibili le parti risanate”. Come sarà possibile?
«Diciamo che il progetto di restauro è anzitutto conoscenza approfondita dell’opera e di ogni scelta progettuale ed è ripristino della materia e della forma originaria: tante azioni quasi invisibili e una grande responsabilità. Prendiamo ad esempio il profilo dell’impalcato del ponte. Abbiamo cercato di risolvere il fatto tecnico/strutturale ma al tempo stesso ripristinato l’essenzialità del profilo alare del bordo come nel progetto originario. Abbiamo inoltre fatto un’indagine a tappeto su tutte le parti degradate. L’impalcato è fortemente danneggiato e presenta nell’intradosso il distacco di ampie superfici di calcestruzzo che hanno scoperto le armature. Prevarrà l’atteggiamento conservativo, anche per le strutture mediante un’azione di rinforzo delle selle Gerber, mentre sarà riconoscibile il ripristino delle grandi mancanze di cemento, coerente per qualità all’azione di restauro; prevediamo infatti di ripristinare anche nell’impronta di superficie, la tessitura originale delle casseforme».
Una delle novità progettuali che ha convinto i giurati è stata la scelta di procedere con un cantiere pilota?
«Servirà a testare il protocollo di intervento e formare le maestranze all’applicazione di quello che non è un comune intervento manutentivo su un viadotto stradale, ma un’operazione di restauro. Faremo una prima una campata di prova, dopo la ripulitura di tutti gli elementi di degrado: graffiti, corpi estranei e cattive manutenzioni pregresse oltre ai danni dovuti all’invecchiamento della superficie corticale del cemento, alle acque meteoriche, alle infiltrazioni attraverso le selle Gerber dell’impalcato».
Un intervento conservativo sia dal punto di vista strutturale, che architettonico.
«L’intervento rispetta la consistenza materica del bene e le tecniche utilizzate per realizzare un’opera infrastrutturale in cui forma e struttura coincidono. Anche l’intervento sul calcestruzzo a vista rispetterà l’impronta delle casseforme originali».
Anche l’illuminazione sarà quella pensata da Musmeci?
«Ai bordi dell’impalcato carrabile si ripropone la linea di “luce continua” di cui scriveva Musmeci nella relazione progettuale. Come nel progetto originario, sarà schermata per essere resa invisibile da chi osservi il ponte a distanza».
Senza dimenticare la fruizione culturale del monumento...
«Sarà sempre meno legato al trasporto e più alla valorizzazione del contesto ambientale in cui è inserito e di cui rappresenta il fulcro Si potrà passeggiare sui gusci, organizzare eventi, guardare alla città e al territorio in stretto collegamento con i suoi beni, naturali, culturali, architettonici ed umani».