POTENZA - Una vendetta consumata sette anni dopo. Volevano fargli pagare la denuncia che costò loro l’affidamento ai servizi sociali quand’erano adolescenti. In tre lo hanno aspettato nei pressi di una pizzeria, nel palazzo Ovs di Potenza, per malmenarlo, rubargli il borsellino, un mazzo di chiavi e distruggergli il cellulare. L’uomo, però, ha fatto in tempo a chiamare il 113 prima che il telefonino fosse messo fuori uso. Il fatto è accaduto sabato sera, intorno alle 20.15.
La vittima è finita in ospedale con un trauma cranico e sono subito scattate le indagini della Polizia per identificare i responsabili fuggiti dopo il pestaggio. Alla scena avrebbero assistito diversi testimoni, tra cui anche un parente dell’uomo. Subito dopo l’accaduto è arrivata anche la moglie che è stata testimone di un’altra scena: l’arrivo di un noto avvocato della città con uno dei ragazzi che avrebbe partecipato all’agguato. «Appena giunto - racconta la donna - ha gettato un mazzo di chiavi nell’auto di mio marito, una Smart, che era stata danneggiata dagli stessi aggressori». Particolare che sicuramente sarà al vaglio degli investigatori. Sempre la donna rileva come il marito abbia tentato di rintanarsi nella pizzeria, ma ha trovato la porta chiusa.
Ma cosa ha scatenato la furia dei ragazzi, poco più che ventenni? Dicevamo di una vicenda che risale a sette anni. Era luglio 2013 quando il figlio della persona aggredita venne picchiato selvaggiamente proprio dai ragazzi protagonisti dell’aggressione di sabato scorso. Erano tutti minorenni. La Gazzetta si occupò di quella storia e dalla cronaca dell’epoca ricordiamo lo storyboard. Teatro della violenza un vicolo alle spalle delle poste centrali, nel centro storico di Potenza.
Fu l’azione di una vera e propria baby gang costituita da nove giovanissimi tra i 14 e i 16 anni, denunciati dalla Polizia. Tutto partì da una incomprensione. Il messaggio su Facebook inviato da una ragazzina a un suo amico scatenò la furia del fidanzato geloso. Ma, come spiegò alla Polizia la stessa ragazza contesa, si trattò di un equivoco. E dopo il pestaggio scattarono le intimidazioni. Raccontò una testimone: «Chiamammo l’aggressore affinché risarcisse il telefonino danneggiato durante il pestaggio. Ricordo che rispose di non avere i soldi». A quel punto il ragazzo picchiato gli rappresentò la possibilità di una denuncia. «E lui rispose - racconta la testimone - “denunciami e poi te la vedrai con me”».
Schiaffi, strattoni e calci furono descritti da tutti i presenti. Ma fu la vittima a descrivere con precisione quegli istanti, assegnando a ciascuno degli aggressori un ruolo. C’è chi gli impose di seguirlo in un luogo appartato, chi lo trattenne fisicamente, chi gli impedì la fuga, chi lo pestò a sangue, chi tenne a distanza la fidanzata e le amiche, chi lo sbatté con violenza alle inferriate della recinzione di un condominio. La vittima ricordò tutti, nomi e volti che gli rimasero impressi non esitando di riferire alla Polizia i dettagli dell’accaduto: «Io ero solo, loro in nove».
L’intenzione era quella di mettersi alle spalle quella brutta vicenda vissuta da adolescente. Ma in tutti questi anni, evidentemente, qualcuno ha covato odio, rancore e spirito vendicativo. Con la differenza che allora si trattava di minorenni. Oggi potrebbero aprirsi le porte del carcere.